Il pane “pregiato” dei magutt

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Oggi è il primo maggio di tempi diversi da quelli del cosiddetto miracolo economico, è addirittura di un altro millennio, oggi i lavoratori trascorrono l’intervallo di mezzogiorno con i piedi sotto a un tavolo. Ma, pur potendo mangiare un piatto caldo, teoricamente più sano di un panino (lasciamo perdere chi invece si ingozza con i tossici panini caldi moderni), mangiano davvero meglio di quando si sedevano su un qualsiasi appoggio nel cantiere e addentavano, affamati, pane e mortadella o pane e salame (una buona filzetta, il salame più economico, allora ancora genuino, che si comprava nelle salumerie) accompagnandolo con l’immancabile vino nel fiasco?

Torniamo indietro nella Milano di una cinquantina d’anni, quando i magutt, ovvero gli operai edili, facevano perlappunto un breve intervallo di mezzogiorno proprio restando nel cantiere ed estraendo il pasto da un cartoccio che conteneva pane, companatico e l’immancabile vino. Allora il pane poteva essere fresco del mattino anche se nei cantieri si iniziava a lavorare molto presto perché i fornai aprivano poco dopo l’alba. Ma la michetta milanese con la mortadella o una buona filzetta (il salame più economico, allora ancora genuino, che si comprava nelle salumerie) sfamava abbastanza? Certo, la michetta era il pane simbolo di Milano, ma vuoto, senza mollica, era buonissimo. Ma sfamava abbastanza?

Nossignori, ci voleva una pagnotta più grande e piena.

E il preferito era il cosiddetto Pan de Comm (pane di Como), un po’ più caro perché più pregiato e non calmierato come il cosiddetto “pane comune”, ma “sfamava”. Ed era perlopiù un’imitazione che molti fornai “copiavano” dai colleghi della vicina città lariana, ma c’era pure chi lo faceva arrivare proprio dal territorio confinante comasco, perché era anche una questione di acqua.

Riportiamo il racconto di questo pane scritto da Rocco Lettieri, giornalista con trascorsi importanti di fornaio.

“Il Pan de Comm trova le sue radici profondamente legate alle vicende storiche della città (Como) e del territorio. Ripercorrendo la storia ci possiamo soffermare su un documento dell’Ottocento, dove vengono descritti i diversi tipi di pane presenti allora sulla tavola dei Comaschi. Il pane più acquistato era il pan gros o panettel, di forma rotonda, venduto a peso, c’era poi un pane di forma oblunga, più piccolo e meglio cotto, il pan d’arbitrio acquistato dai ricchi, e poi ancora i micchett o micottel, pane comune di pasta dura, meno costoso ma anche meno richiesto. Le classi più povere acquistavano il pane di mistura (4/5 di farina di frumento e 1/5 di farina di scarto) o il pane giallo, fatto con farina di mais e di segale. Si legge, sempre nei documenti della stessa epoca, che: “…qui (a Como) vi è un pane assai buono; esso si conserva buono anche raffermo”. Ancora oggi il Pan de Comm ha una sua ricetta: pane con crosta fragrante, mollica leggermente alveolata, un taglio longitudinale in mezzo alla oblunga pagnotta che può accompagnare qualsiasi piatto: antipasti, zuppe, secondi a base di pesce e carne, specie se con intingoli. Se avanzato può essere indurito e poi grattugiato e si conserva anche a lungo in quanto non contiene grassi di nessun genere e non irrancidisce. Sempre sul Pan de Comm si diceva che le sue proprietà le venivano da quell’acqua particolare che il panificatore aveva a disposizione dalle fonti che circondano Como e principalmente da Brunate dove ancora oggi esistono fontane a perdere. La qual cosa era molto importante in quanto quell’acqua era leggera, non dura, non calcarea, ricca di sali minerali e non di cloro come l’attuale che riesce addirittura ad inibire l’azione dei lieviti. Nella produzione del pane l’acqua rappresenta uno degli ingredienti fondamentali, il cui ruolo spesso viene trascurato. L’acqua ha un elevato potere solvente nei riguardi dei sali per cui, a secondo della composizione chimica degli strati del terreno attraverso cui passa, si arricchisce di sostanze differenti e quindi acquista una composizione chimica diversa. Oltre all’acqua il Pan de Comm usufruiva di farine eccellenti provenienti dai mulini della Val d’Intelvi (nel 1947 se ne contavano ancora 39) e di forni a legna dove venivano bruciate fascine di legni diversi che creavano quel fascino di aromi unici e introvabili di cui si . persa la memoria. Ancora bisogna ricordare che questo pane era a lunga fermentazione ottenuto con la “biga”, il lievito serale che consentiva alla pasta di maturare al punto giusto sprigionando poi nella soffice e porosa mollica tutta la sua fragranza e lunga conservabilità. Credo che sia inutile piangere sul pane di una volta ma fare uno sforzo nel cercare da un bravo fornaio, quel famoso pane di Como di cui la città era fiera sia un atto dovuto. I fornai lo sanno che i clienti vanno accontentati: quindi ritorniamo a chiedere, e con insistenza, il nostro pane cittadino. Ricordo che la poetessa Gisella Azzi così ricordava il pane comasco: “….Gh’era una volta…un pan, ul Pan de Comm, crucaant de föra e muresìn dedeent: famüüs, quasi, püss.e che ‘l mé bèll Domm. Cagnà la crusta doraa cunt i deent l’era un piasé… che incöö l’è naa a Patrass; incöö sa ris’cia de rüin. i ganass… ” (…C’era una volta…un pane, il Pane di Como, croccante di fuori e morbido di dentro: famoso, quasi, più del mio bel Duomo. Masticare la crosta dorata con i denti era un vero piacere…che oggi è andato a Patrasso; oggi si rischia di rovinarsi anche le gengive…”).

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