È piovuto un po’ dappertutto, fa caldo, nascono i funghi, soprattutto i porcini. Allora parliamone. Perché il porcino in Italia non è solo un fungo, è una malattia, una sorta di ingrediente obbligatorio per ristoranti d’ogni livello da Capodanno a San Silvestro in barba alla parola magica per chi fa da mangiare – in famiglia o come rtristoratore – con buon senso e soprattutto buon gusto.
Beh, ora abbiamo l’occasione per assaggiare i veri porcini, quelli che sanno di porcino, che profumano di porcino, che emozionano come un buon porcino. Ovvero quelli che nascono nei nostri boschi e arrivano in cucina appena raccolti. E forse tanti fanatici mangiaporcini non li hanno mai assaggiati e credono che il loro vero sapore sia quello con sentore metallico e odore di terra di gran parte dei porcini importati per non parlare di quelli congelati, addirittura pericolosi.
Ma possiamo esserne sicuri? Beh, mica tanto: anche quando i nostri boschi ne sono invasi, quando ci sono quelle che i fungiatt chiamano “buttate”, sulle bancarelle e nei negozi prevalgono i porcini importati perché costano molto meno, anche un terzo rispetto a quelli italiani, se non addirittura del territorio dove ci troviamo.
Allora come possiamo sfruttare l’occasione di un momento stagionale favorevole per riconoscere il profumo e il gusto dei veri porcini nostrani? Ecco qualche regoletta e qualche consiglio.
Credo che chi ci legge e, quindi, apprezza i valori che l’Accademia delle 5T rappresenta, preferisca mangiare la carne una volta in meno ma mangiarla solo buona, scelga il pesce della pescata del giorno e la verdura del contadino non lontano da casa, che per farlo preferisca i mercatini contadini e la pescheria di fiducia (quando il mare è lontano) e rifugga il supermercato: perché non comportarsi con la stessa saggezza con i funghi, ovvero mangiarli solo quando è la loro stagione e, se il clima non ci aiuta, per un anno rinunciare? Del resto, porcini a parte, ci sono funghi diversi dai porcini con sapori diversi ma comunque buonissimi quasi tutto l’anno.
Tornando ai nostri porcini, per prima cosa guardiamoci intorno quando andiamo in giro in auto: se ci sono tante macchine parcheggiate vicino ai boschi (e ci sono boschi che regalano porcini anche a pochi km da Milano o Roma, per esempio) vuol dire che i funghi crescono ed è il momento giusto per trovarli in vendita nei negozi – ce ne sono ancora – che si riforniscono dai contadini e dai raccoglitori locali. È laborioso? Certo ma ne vale la pena, la differenza è enorme.
Se poi passiamo vicino ai boschi all’ora giusta diamo un’occhiata al contenuto dei cesti dei fungiatt: i porcini non solo non sono tutti uguali (sono quattro specie diverse e hanno un aspetto diverso a seconda dell’albero con cui convivono) ma neppure sempre uguali: a seconda del clima del periodo e del tipo di sottobosco hanno un diverso aspetto e, con un po’ di spirito di osservazione diventa facile non farci fregare dalla bancarella improvvisata che propone funghi di chissà dove spacciandoli per locali.
Se siamo sempre rintanati in città? In questo caso trovarli giusti è casuale, dobbiamo conoscere un negoziante o un ambulante di fiducia che espone in modo chiaro ed esplicito la provenienza. Ma non saranno mai l’eccellenza perché il porcino soffre il frigorifero che gli dà sentori metallici.
Se siamo fungiatt capaci di riempire il cestino o siamo fortunati e abbiamo trovato porcini locali e freschi sul mercato, non roviniamoli e non facciamoci del male, ovvero:
- non mangiamoli crudi (o accontentiamoci di dosi minime) perché il porcino crudo non è digeribile e molte persone non lo tollerano;
- lavoriamoli subito perché perdono qualità di ora in ora;
- laviamoli molto bene prima con una breve immersione, se non sono troppo maturi con i tubuli (la “barba” sotto il cappello) verde e molle, in acqua fredda e successivi ritocchi sotto acqua corrente;
- se li vogliamo friggere, mangiamoli il giorno stesso o, al massimo, il giorno dopo ma infarinandoli e impanandoli subito e conservandoli in frigo (purtroppo è inevitabile) stesi in strati tra fogli di carta da cucina e pronti da cuocere; gli esemplari buoni fritti sono quelli più maturi con la “barba” già verde;
- se vogliamo cucinare le cappelle intere il giorno dopo (non oltre) conserviamole ben coperte in frigo marinate con olio extravergine ed eventualmente aglio ed erbe (ma assolutamente non sale);
- per tutte le altre ricette si parte da quella dei funghi trifolati, ovvero mettiamoli in tegame a freddo con olio o burro, sale ed eventualmente aglio, quindi cuociamoli finché non è evaporata tutta la loro acqua di vegetazione e il condimento è tornato limpido; il sale va messo subito per facilitare il rilascio dell’acqua di vegetazione; non bisogna mai partire da un soffritto sia per non sovrastare il profumo dei funghi sia perché altrimenti parte dell’acqua di vegetazione resta imprigionata in una crosticina a danno della digeribilità;
- non congeliamoli mai crudi: a parte il pessimo risultato dal punto di vista organolettico, sono più numerosi gli avvelenamenti da porcini andati a male che da funghi velenosi e, guarda caso, ciò avviene da quando sono in commercio funghi congelati;
- possiamo congelarli, invece, trifolati, nel qual caso non saranno mai buoni come se mangiati appena colti ma non perdono molto; poi ci sono i classici metodi di conservazione che non imitano il fungo fresco ma costituiscono un’eccellente preparazione gastronomica (i porcini sott’olio extravergine d’oliva) e un’eccellente spezia (i porcini secchi).
Boletus edulis
Boletus pinicola
Boletus aereus
Boletus reticulatus
Zuppa di farro porcini e castagne