LA TRUFFA “LEGALE” (FORSE) DEGLI ACCERTAMENTI INDUTTIVI.
SANZIONI DI CENTINAIA DI MILIONI CAMPATE IN ARIA.
COSI’ I RISTORANTI CHIUDONO O NON INVESTONO: IL FISCO INCASSA UNA TANTUM CON IL RICATTO, MA POI NON INCASSERA’ PIU’ SU REDDITI REALI
Ci troviamo di fronte a un’autentica persecuzione organizzata che porta a uno stillicidio di ristoranti di qualità costretti a chiudere per colpa del fisco o a non avere risorse per investire perché il fisco se le divora. Ma non se le divora solo per l’eccessiva tassazione ma per comportamento degno della peggior cosca mafiosa.
Realizzare camere, investire in personale veramente preparato e tecnologia, fare formazione, investire nel web… tutte soluzioni per una ristorazione di qualità che può sopravvivere solo migliorando i servizi e accentuando sempre di più la qualità senza aumentare i prezzi. Non è comunque un’impresa facile, lo è resa ancora di meno per l’eccessivo costo di autostrade e benzina (micidiale per chi è fuori dalle città), per una tassazione “normale” e una burocrazia insopportabili, per la concorrenza di locali che nascono e scompaiono per riciclare denaro sporco…
Ed ecco, ad aggravare in modo “mortale” la situazione, la spada di Damocle delle sanzioni spropositate, al di fuori di ogni logica di giustizia.
Gli accertamenti induttivi nel campo della ristorazione sono sempre stati una barzelletta, ma ancora di più lo sono negli ultimi anni: la crisi non ha colpito solo nei numeri dei clienti e di quanto i clienti spendono (una pizzeria, per esempio, può essere piena, ma, se tutti prendono solo una birra piccola e una margherita non può reggere). Ha colpito soprattutto nell’organizzazione aziendale perché non è possibile fare previsioni.
In queste condizioni gli accertamenti induttivi sono ancora più micidiali perché molta parte dello spreco incide sui calcoli idioti di chi accerta.
In realtà il giochetto è semplice:
– sanzioni assolutamente spropositate sulla base di qualche effettiva piccola colpa e altre inventate in base a supposizioni legate agli acquisti;
– trattativa con cui si concorda una cifra, comunque altissima e spropositata rispetto all’ipotetica (quando c’è) evasione;
– il ristoratore accetta perché il ricorso costa tantissimo anche se si vince (con obbligo di anticipi che non si capisce che logica abbiano se non di ricatto), mentre la sanzione può essere rateizzata: insomma cede a uno sporco ricatto da parte dello Stato;
– l’ufficio che ha ottenuto tutto ciò fa carriera perché avrebbe “recuperato” imposte evase mentre invece ha “rubato”;
– il funzionario che ha operato comunque “ci guadagna” anche se poi il recupero spesso è solo sulla carta perché il sanzionato fallisce e non potrà mai pagare.
E le banche, intanto, annullano i fidi.
Di chi la colpa? Soprattutto delle associazioni di categoria politicizzate o inadeguate, incapaci di creare condivisione e quindi imporsi al legislatore e organizzare una difesa comune.
Nell’interesse pubblico, per mantenere e creare risorse e sfruttare sul serio la gastronomia e l’agroalimentare, ovvero le più importanti fonti di posti di lavoro disponibili, è necessario un drastico cambiamento legislativo e nelle direttive agli organi di controllo. Non è possibile che, per esempio, un ristorante che usa molto vino nelle cotture si veda fare un accertamento induttivo che, in base al vino acquistato, sostiene che ci siano stati più clienti di quelli dichiarati. E’ vero che un ricorso sarebbe sicuramente vinto, ma quanto costa? E questo vale per tutti i consumi di un ristorante, spesso, per sprechi inevitabili o spese fisse, non direttamente legati al numero di clienti.
Così il nero viene incentivato: il ristoratore compra in nero una parte dei prodotti per difendersi dagli abusi degli accertamenti induttivi.
Cosa serve? Ecco qualche esempio:
– le sanzioni, oggi iperboliche nella cifra e nel metodo dell’accumulo, devono corrispondere a un criterio di equità;
– i ricorsi non devono prevedere costi di partenza (anticipi) ma solo successivi a un’eventuale conferma della correttezza del verbale e le spese legali vanno pagate da chi perde: attualmente conviene di più pagare, in pratica lo Stato e chi per lui ricatta il cittadino e può permettersi verbali ingiustificati senza alcun timore di rimetterci alcunché;
– gli accertamenti induttivi devono servire solo a individuare i ristoranti da tenere (ed è facilissimo) sotto controllo non a provocare sanzioni dirette.
Vogliono le associazioni di categoria svegliarsi e intraprendere un serio lavoro di difesa dei loro associati con adeguate pressioni (tutt’altro che inutili) sul legislatore? E con uffici legali efficienti e autorevoli a disposizione degli associati?
Vuole il MIPAAF intervenire nell’interesse del settore presso i ministeri delle finanze e della salute pubblica che tartassano il settore più produttivo e promettente del Paese?
Andando avanti così continueranno a proliferare locali improvvisati che aprono e chiudono in pochi anni, diventando fantasmi per il fisco, mentre scompariranno i ristoranti tipici, di qualità, professionali e produttivi anche e proprio per il fisco. Un fisco, quindi, masochista, che considera criminale chi lo mantiene e ha mantenuto il paese lavorando 16 ore al giorno e tutti i giorni, mentre ignora chi lo prende per i fondelli.