Che dire di una signora al supermercato che ha comprato 200 euro di roba (quasi tutte porcherie) e le stava riponendo in un carrello colmo con non so quanti sacchetti di plastica e che, vedendomi attrezzato con un cesto di vimini, commenta: “come in Africa”? Le ho risposto “come in Alto Adige o in Austria o in Germania, come dovrebbe fare tutta la gente civile”.
E vorrei sperare – ma ci credo poco – che quel “come in Africa” non rappresenti un presuntuoso e ignorante senso di superiorità.
Certo, il cesto di vimini o la borsa in iuta come quando si andava ogni giorno a fare la spesa nei negozi sotto casa e al mercato settimanale di quartiere è roba riservata a quel consumatore evoluto e consapevole che è ancora una ristretta minoranza, ovvero a chi va al supermercato di tanto in tanto solo per quelle necessità che oggi non si trovano più nei negozi, non certo per il cibo fresco.
Ma anche chi è “costretto” (si fa per dire) a riempire il carrello al supermercato potrebbe benissimo evitare di aggiungere plastica a plastica o, comunque, immondizia a immondizia (non è che montagne inutili di carta o di contenitori “quasi” o supposti biodegradabili all’ambiente – naturale o urbano – facciano proprio bene): basta abbandonare la “filosofia” dell’ “usa e getta” – abominevole espressione – figlia di un progresso incosciente privo di un minimo di lungimiranza (ci siamo cascati tutti e con entusiasmo, non abbiamo intuito il problema, ma ora – accidenti! – siamo informati).
Basta portarsi dietro borse e sacchi riutilizzabili oppure riporre tutto nel carrello così com’è e scaricarlo nell’auto in cassettine di legno (quelle dei fruttivendoli) tenute nel baule appositamente.
E’ davvero così impegnativo? Questione di sensibilità e buon senso: dobbiamo fare tutti la nostra parte per difendere il nostro habitat, non delegare a istituzioni nostrane e mondiali che fanno solo finta di fare qualcosa e, comunque, senza la collaborazione dei cittadini non potrebbero ottenere risultati.
Ma torniamo a dove e come facciamo la spesa.
Certo, ci sono alcune persone per le quali le alternative al supermercato, per dove abitano e per stile di vita imposto, sono davvero ostiche, ma quante sono? Per la maggioranza la scelta del supermercato, la “non ricerca” di un modo più intelligente, sano, razionale e soprattutto sostenibile, di fare i propri acquisti è solo pigrizia mentale e/o mancanza di consapevolezza dei veri problemi di una società in fase di autodistruzione: lo spreco, il consumismo, le scorie di questo stile di vita, la “non scelta”, la dipendenza da una disinformazione inquinata…
Se proprio siamo costretti ad andare al supermercato almeno attrezziamoci con sacchetti o contenitori riutilizzabili.
Certo, ci sono tante scuse per convincersi obbligati a scegliere il supermercato alimentando un processo criminale di distruzione economica e culturale del territorio, dell’artigianalità, dei valori umani insiti in una comunità vitale.
C’è il parcheggio raggiungibile con il carrello, una gran comodità… ma quattro passi, magari con una borsa con le ruote, per raggiungere l’auto a un paio di isolati sono un’impresa così ardua?
C’è il problema del tempo, oddio il tempo! La scusa di non avere tempo per passare da un negozio all’altro o girar per bancarelle è la più gettonata… ma siamo sicuri che al supermercato se ne perda davvero meno? O così tanto meno da giustificare la schiavitù dal sotto plastica? Gli scaffali sono calamite, la lista della spesa diventa un foglio inutile, è un impellente bisogno visitarli tutti, magari con la spasmodica ricerca dell’offerta. E si è partiti con un’idea di ciò che serve per poi comprare anche ciò che forse servirà o che “conviene” (costa meno del solito, è vero, ma non comprarlo costa ancora meno!). Tanto tempo impiegato in più per guardare, pensarci su, riporre nel carrello, far passare alla cassa…E tanti soldi buttati via perché ciò che “forse servirà”, finirà in buona parte nell’immondizia o sarà comunque un inutile e spesso insalubre spreco.
C’è l’illusione che i prezzi siano più bassi! Altra scusa: sono più bassi quelli delle grandi marche, certo, ma non quelli dei prodotti freschi (a parità di qualità). Poi è davvero una buona scelta prediligere le grandi marche?
C’è la convinzione che i negozi siano troppo cari? Alcuni hanno prezzi alti perché propongono prodotti che li valgono, spesso un risparmio in salute e in resa nel piatto perché il sapore vero rende di più. Ma ci sono pure negozi con prezzi concorrenziali, soprattutto nei prodotti freschi. Bisogna solo fare la fatica di informarsi, di guardarsi in giro. Poi ci sono i mercati settimanali e i mercatini contadini, dove i prezzi sono sicuramente inferiori anche a quelli del supermercato… purché si compri con un minimo di attenzione.
Ma c’è pure la scusa che i mercati non siano a portata di mano o abbiano orari incompatibili con il lavoro. Ma ne siamo proprio sicuri? In realtà sono dappertutto, basta informarsi, aprono presto la mattina, sono aperti nell’intervallo di pranzo e, mal che vada, ce ne sono pure di sabato e domenica. A volte sono scarni e con poca scelta? Ed eccoci al classico gatto che si morde la coda: se la gente non ci va sono scarni, se i clienti aumentano ecco che aumentano pure i banchi, la scelta, la selezione…
Ma quanto c’entra il supermercato con la sostenibilità, ovvero, nello specifico, con il contributo del cittadino a diminuire l’impatto ambientale degli scarti? A parte gli sprechi insiti nell’acquisto accumulato, ossia nel carrello pieno, una differenza è lo scaffale, ovvero il confezionato invece dello sfuso, poi la provenienza della stragrande maggioranza dei prodotti, quasi mai territoriali, tantomeno artigianali, con costi enormi in consumi energetici e in packaging, spesso packaging del packaging. E il rapporto umano è un elemento fondamentale: ll confronto personale tra produttori del primario, mercanti e consumatori è stato alla base della crescita delle comunità, della conoscenza, dei rapporti con altre comunità. Oggi, nel mondo globale, è la difesa dalla disinformazione interessata, è la fonte di informazioni originali e autentiche, il legame con il proprio habitat, lo stimolo alla conoscenza.