Giuseppe Da Re, chi è costui?

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I Bibanesi hanno compiuto 30 anni.

Tutti li conoscono, qualcuno dice che sono grissinoni straordinariamente buoni, Giuseppe, ossia chi li ha inventati, dice che sono pane e si arrabbia molto con chi li chiama grissini. In effetti non sono grissini, sono paninetti se si mangiano in tavola. Tuttavia, soprattutto per bambini e ragazzi, sono pure veri e propri snack, o meglio merende, come si diceva un tempo quando l’espressione “parla come mangi” aveva ancora senso.

“Inventati” è un parolone, si suol dire che sul cibo non si inventa nulla, si trasforma o si rivisita, qualche volta si crea: ma quasi sempre scopriamo che ciò che definiamo creativo è il recupero inconsapevole di qualcosa che, magari, già facevano in ignoti villaggi e che un certo Archestrato di Gela riportava quasi due millenni e mezzo fa o un certo Cristofaro da Messisbugo, con qualche orpello in più, mezzo millennio fa. E quando non è così il risultato della creatività poche volte è sublime, molte altre è una ciofeca o inutile fumo.

Invece i Bibanesi sono davvero un’invenzione, frutto di creatività e conoscenza, ovvero scienza.

Infatti sono proprio pane, solo pane, eppure sono unici, diversi, imitati ma inimitabili. Sono frutto della creatività di un creativo a 360°: sono diversi nel gusto e nell’appetibilità, diversi nel processo produttivo, diversi nel farsi conoscere, nel presentarsi, persino diversi tra loro, addirittura ognuno è unico perché la tecnologia, all’avanguardia e pure essa creativa, parte da un impasto che nasce dall’occhio sensibile e dalle dita ancora più sensibili di competenti panificatori e, a un certo punto, interrompe i suoi millimetrici movimenti per lasciare il posto a esperte signore che stirano l’impasto con l’abilità atavica delle loro mani… ed ecco che, così, non ci sarà mai un Bibanese uguale all’altro. Una piccola mania di Giuseppe? Nossignori, le fantasmagoriche braccia di macchine intelligentissime non riescono a ottenere ciò che ottengono le sensibili mani dell’artigiano, o, in questo caso, dell’artigiana.

In bocca la differenza si sente.

Il loro straordinario successo non passa in televisione ma dove più conta: dagli scaffali alle case, dalle dispense delle case alle tavole oppure nello zaino che si porta a scuola. E, quando arriva l’intervallo, il bambino con i Bibanesi viene rincorso dai compagni che chiedono anche per loro una di queste pagnottine croccanti, lasciando nello zainetto il panino con la crema tanto famosa e tanto poco sana o le merendine che sono cibo spazzatura ma sono pure quelle che TV comanda. Eppure un Bibanese è solo pane, il pane che mangiava Papa Woytila e il “doping” dei giocatori del grande Milan di Arrigo Sacchi, ma pur sempre solo pane. È fatto con ingredienti naturalissimi scelti con maniacale attenzione, a cominciare dall’olio extra vergine d’oliva, ma è pur sempre solo pane.

La creatività più difficile e più vera, quella che non lascia spazio a interpretazioni, è semplice, ma non nasce da una semplice idea, ma da un modo di essere non soltanto quando si inventa ma quando si vive. Ed eccoci allora al papà dei Bibanesi, Giuseppe Da Re, che ha un grande merito e una fortuna: è diventato pure il nonno dei Bibanesi. Perché Giuseppe è un artista, uno scultore, è un imprenditore capace ma soprattutto sensibile al benessere e al senso di appartenenza all’azienda dei collaboratori, è uno straordinario uomo di marketing, è un “vip”, come si suol dire, sia nel mondo del food sia in quello dell’imprenditoria veneta, ma è innanzitutto un papà che non solo è riuscito a dare continuità generazionale alla sua azienda, ma pure a trasmettere i suoi valori di rispetto per l’ambiente e per le persone. Così i suoi figli sono oggi i papà dei Bibanesi e lui ne è il nonno. Intendiamoci, non fa il pensionato, non ci riuscirebbe mai, è sempre lì a creare, a inventare Bibanesi con gli ingredienti del nuovo millennio… come ogni buon nonno che sta con i nipoti. Sembra una battuta, e neanche troppo arguta, invece è una realtà che oggi ha pochi riscontri. Pochi nelle piccole aziende perché i figli non capiscono perché dovrebbero fare la stessa vita grama dei padri per ingrassare la burocrazia, pochissimi in quelle grandi perché i figli tanto i soldi ce li hanno già e fanno meno fatica a goderseli vendendo alle multinazionali o a lasciar gestire a bocconiani – tutto numeri e poca anima – piuttosto che a prendersi anche le responsabilità etiche e sociali dei genitori. Invece qui, a due passi dal Piave, Francesca, Armando e Nicola non si limitano ad affiancare papà Giuseppe perché l’azienda funziona e rende, ma perché ne condividono le pulsioni, gli stimoli, la coscienza, il senso di appartenenza…ovvero, riassunto banalmente, la passione.

Quindi tanti auguri per gli splendidi 30 anni ai Bibanesi, a Giuseppe, alla moglie Adriana (ha fatto pure lei la sua parte, naturalmente) e ai figli Francesca, Armando e Nicola.

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