Perché ancora macchinette di cibo spazzatura nelle scuole? Ovvero: che fine ha fatto quella rara presa di coscienza dei nostri parlamentari di 6 anni fa che di fatto le condannava?
Decreto-legge 12 settembre 2013, n. .104, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 214 del 12 settembre 2013, nell’art. 4:
5-bis. Il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca adotta specifiche linee guida, sentito il Ministero della salute, per disincentivare, nelle scuole di ogni ordine e grado, la somministrazione di alimenti e bevande sconsigliati, ossia contenenti un elevato apporto totale di lipidi per porzione, grassi trans, oli vegetali, zuccheri semplici aggiunti, alto contenuto di sodio, nitriti o nitrati utilizzati come additivi, aggiunta di zuccheri semplici e dolcificanti, elevato contenuto di teina, caffeina, taurina e similari, e per incentivare la somministrazione di alimenti per tutti coloro che sono affetti da celiachia.
Eppure in tutte le scuole e università ci sono distributori automatici di bibite gasate (secondo alcuni studi al secondo posto tra le cause di obesità), merendine iperzuccherate e ricche di grassi poco sani, prodotti chiamati light con dolcificanti pericolosi, tramezzini con una lista ingredienti troppo lunga per stare su un unico lato della confezione e con più E che ingredienti alimentari.
E allora?
Magari fosse così!
Purtroppo invece è ancora ovunque – o quasi – così!
E quanti enti rispettano il comma che segue? Qualcuno lo fa, quindi è economicamente possibile.
5-quater. Per le medesime finalità di cui al comma 5, nei bandi delle gare d’appalto per l’affidamento e la gestione dei servizi di refezione scolastica e di fornitura di alimenti e prodotti agroalimentari agli asili nido, alle scuole dell’infanzia, alle scuole primarie, alle scuole secondarie di primo e di secondo grado e alle altre strutture pubbliche che abbiano come utenti bambini e giovani fino a diciotto anni di età, i relativi soggetti appaltanti devono prevedere che sia garantita un’adeguata quota di prodotti agricoli e agroalimentari provenienti da sistemi di filiera corta e biologica, nonché l’attribuzione di un punteggio per le offerte di servizi e forniture rispondenti al modello nutrizionale denominato «dieta mediterranea», consistente in un’alimentazione in cui prevalgano i prodotti ricchi di fibre, in particolare cereali integrali e semintegrali, frutta fresca e secca, verdure crude e cotte e legumi, nonché pesce, olio extravergine d’oliva, uova, latte e yogurt, con una limitazione nel consumo di carni rosse e zuccheri semplici.