Mangiamo il granchio blu!

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Da che mondo è mondo l’eccesso di “golosità” (o a volte tristemente la fame) ha provocato la quasi estinzione di specie animali e vegetali o vari altri danni tanto da causare divieti e limiti (il tonno rosso è il caso più eclatante degli ultimi tempi), quindi è logicamente utile il contrario, ovvero incentivare la caccia, la pesca o la raccolta di quelle specie giunte da altri ambienti che diventano invasive in un territorio – di terra o di mare – perché, essendo particolarmente prolifiche e non trovando abbastanza predatori o competitor, ne stravolgono gli equilibri a danno delle specie autoctone.

Ed è il caso di un “personaggio” che sta invadendo pure le cronache, il granchio blu (Callinectes sapidus). Non è arrivato per il cambiamento climatico, come certi pesci, o per l’idiozia dell’uomo, come il siluro nei nostri fiumi, ma per caso, ospite delle acque di zavorra delle grandi navi. Questo granchio così dannoso ha invaso ambienti che non possono tollerarlo, in particolare il Mare Adriatico.

Ma ha un pregio, è buonissimo. Tant’è vero che si chiama sapidus.

E qualcosa per incentivarne la pesca si sta facendo, non solo chiacchiere e allarmismi: ci sono controindicazioni evidenziate da alcuni studiosi ma sono facilmente superabili usando il buon senso, ovvero non considerando scelte per l’emergenza come scelte definitive: dev’essere previsto che se, si spera, e quando l’emergenza verrà superata, le scelte delle autorità competenti e degli operatori possano essere cambiate.

Non pare tuttavia sia stata presa la decisione più determinante: un prezzo basso “politico” aiutando tutta la filiera – tecnicamente ed economicamente – che consenta un interesse diffuso dei punti vendita e dei consumatori: di questi tempi la golosità non basta, serve anche la convenienza. E convenienza deve voler dire convenienza sul serio considerando il forte scarto e il lavoro per estrarre la polpa.

Alcuni ristoranti celebrati hanno tentato una promozione del granchio blu in cucina, il loro intervento è utile ma non basta la nicchia, occorre che il crostaceo diventi una componente diffusa della cucina popolare.

Intervistando operatori del mercato ittico di Milano, si scopre che il gran can can che si sta facendo intorno a questo granchio aggressivo e dalle chele potenti stia dando i suoi frutti.

Ma perché solo ora? Eppure sono dieci anni che viene commercializzato ma con successo solo presso gli extracomunitari in genere e soprattutto i Cinesi. A dire il vero stava prendendo piede anche presso gli Italiani ma su spinta della purtroppo abbondante schiera di animalisti beceri e ignoranti (ci sono anche tanti animalisti intelligenti e competenti ma strillano di meno e hanno meno audience) è stato posto per un lungo periodo il divieto di venderlo vivo (come è buona regola per i crostacei pregiati). Oggi questo divieto non c’è più.

Come mai solo ora lo stanno proponendo pescherie e ambulanti e stanno nascendo persino attività di trasformazione del prodotto? Come mai solo ora l’argomento è diventato “di moda”? Perché si sono scatenate – per fortuna e giustamente – categorie del settore ittico un tantino più forti di altre in ambito politico o almeno più intraprendenti. Ed era tempo avvenisse.

Ora bisogna facciano la loro parte i media: le trasmissioni tv di cucina – purtroppo perlopiù diseducative – sono invasive su tutte o quasi le reti, potrebbero diventare finalmente utili propinando ricette con questo granchio buonissimo.

E – perché no? – sarebbe importante li propongano i supermercati: costano già poco rispetto ad altri crostacei.

Insomma una bella operazione comune di tutta la filiera, soprattutto di chi ne è il protagonista finale, il consumatore: ne vale la pena.

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