Seppure la motivazione non è più la fame, l’uomo può abdicare al suo ruolo di predatore assegnatogli dalla Natura? Che la caccia intesa come “piacere” non “bisogno” e, in modo superficialmente restrittivo, “piacere di uccidere”, possa suscitare sdegno in chi cacciatore non è, è comprensibile e magari anche condivisibile. E non mi convince chi dice che è uno sport come un altro: fosse così potrebbero sparare innocui proiettili che si rompono sulla pelle facendo una macchia rossa a riprova del colpo andato a segno, come avviene nelle esercitazioni militari. Mi convince invece, almeno in parte, la conoscenza di tanti cacciatori che vivono e proteggono l’ambiente tutto l’anno, per i quali il colpo sparato sull’animale è solo la conclusione di un rito fatto di tanti appostamenti con il solo binocolo durante i mesi precedenti. Ma mi toglie ogni benevolenza, al contrario, la conoscenza di altrettanti cacciatori che sparacchiano a tutto ciò che si muove, come dimostrano i tanti morti, soprattutto durante le battute al cinghiale, colpiti dall’amico con cui la settimana prima avevano brindato davanti alle carcasse degli animali uccisi.
Tuttavia cinghiali e caprioli soprattutto, ma anche daini e cervi sono diventati un autentico flagello per l’agricoltura per cui la risposta razionale è una sola: l’uomo non può abdicare al suo ruolo di predatore assegnatogli dalla natura. Gli spazi a disposizione degli ungulati non sono più gli stessi e costoro non sono “cattivi” se vengono a mangiare ciò che di meglio offre loro il contadino, ma il contadino non è “cattivo” se ha la pretesa di disporre del frutto del proprio lavoro. Pertanto il cacciatore potrebbe essere uno strumento utile, magari per qualcuno arricciando il naso, ma utile. E la caccia di selezione è un dovere naturale per la stessa salute degli ungulati, la cui presenza supera la capacità dell’ambiente di mantenerli sani.
Ed ecco che l’ambientalista che non può – e ha tutta la mia comprensione – ammettere uno sport che uccide, obietta che questo ruolo spetterebbe agli animali predatori. E chi sono questi predatori? Di fatto, oggi come oggi, anche i lupi, che stanno riconquistando gli spazi perduti e ridiffondendosi in tutta Italia. Ed ecco, però, che nasce invece un altro flagello, questa volta a danno degli allevatori: ormai dal Piemonte alla Calabria sono numerose le segnalazioni di agnelli e capretti, a volte anche pecore adulte, uccisi dai lupi. Evidentemente l’animale domestico è meno faticoso da catturare, così rischia di rivivere l’immagine del lupo cattivo per terrorizzare i bambini.
E pare che il ritorno del lupo non riporti affatto un equilibrio nell’ambiente naturale. Diventa anzi, un altro problema da risolvere, probabilmente in modo abbastanza facile senza bisogno di ricorrere a massacri emotivi, ma questo è un altro argomento che esula da questo articolo. Resta dunque essenziale il ruolo dell’uomo predatore, rappresentato oggi dai vituperati cacciatori.
Carpaccio di cervo proposto durante l’evento “Chef al Massimo” organizzato dalla famiglia Zivieri a Monzuno. La Macelleria Zivieri, ora trasferita a Zola Predosa, è specializzata anche in carni di cacciagione ed è protagonista di un progetto in provincia di Bologna per una vera e propria filiera di queste carni.
Capriolo marinato, un’altra proposta della Macelleria Zivieri nei loro locali; la macelleria con cucina RoManzo, nel cuore di Bologna, all’interno dello storico Mercato di Mezzo; la macelleria con cucina Teatro della Carne, all’interno di FICO.
Torniamo, quindi alla necessità della cosiddetta caccia di selezione che, se organizzata in modo innovativo, potrebbe diventare una sostanziosa risorsa economica per la società, non un costo, come invece oggi spesso è a causa di una burocrazia che a volte arriva a livelli di comicità. Come agire? Con una semplificazione burocratica, un’adeguata informazione, responsabilizzazione dei cacciatori (almeno di quelli disposti ad aggiornarsi a collaborare) e macelli abilitati, formati e controllati. La carne di ungulati non è buona soltanto per piatti grevi e complessi, come vorrebbe una diffusa tradizione, ma può essere benissimo gustata persino cruda o cotta al sangue, in piatti semplici e di breve cottura. E, di fatto, non va intesa, come avviene oggi, come una specialità per i giorni di festa o da mangiare solo al ristorante: non costa di più della carne bovina e, semplificandone l’immissione sul mercato, potrebbe essere un’alternativa molto sana perché l’animale cacciato non si aspetta di morire e la sua carne non risente dello stress del trasporto al macello e quanto segue.