Sulla Bibbia il rito pasquale del sacrificio dell’agnello è stato ripudiato: fu Re Giosia che lo vietò, consentendolo solo nel Tempio di Gerusalemme, e lo fece ben 2700 anni fa!
Eppure questo antichissimo rituale religioso è rimasto nella tradizione dei ghiottoni che, per il pranzo pasquale, vogliono qualcosa di speciale.
Ma è davvero speciale un agnellino da latte di pochi chili?
Vogliamo abbinare il gusto per i sapori veri con un po’ di buon cuore, lasciando che la bestiola si goda almeno qualche mese di sgambettate sui pascoli?
Siamo certi che, dopo quello che stiamo scrivendo saremo tra due fuochi: gli animalisti estremisti ci disprezzeranno per ovvi motivi, gli altri ci tacceranno di ipocrisia.
Quindi, anche se qualcuno di noi, come chi scrive queste righe, non è insensibile agli occhi tristi di un agnellino da latte (o un capretto o, perché no, un vitellino) e ha scelto di non mangiare i cuccioli, limitiamoci a considerazioni puramente gastronomiche, da ghiottoni egoisti che si fanno guidare dal palato non da sentimentalismi che i più ritengono, perlappunto, ipocriti.
Una volta tanto non temiamo di andare contro tradizioni radicate come l’abbacchio romano o l’agnellino sardo e dichiariamo a gran voce che il sapore vero è quello della carne rossa di agnellone, meglio ancora di castrato adulto, con quel tanto di selvatico (ma non troppo) che le dà personalità. O, perché no, del montone.
Mettiamo questo sapore vero sulla tavola di Pasqua, dunque, rinunciando all’agnellino o al caprettino da latte: mangeremo meglio! Oltretutto oggi ci aiuta la presenza di tante persone che giungono da paesi dove la carne di montone è quella di maggior consumo: costoro, creando una domanda specifica, hanno consentito lo sviluppo di un mercato di carne ovina adulta, spesso con un rapporto qualità prezzo molto favorevole.
E se cerchiamo la tipicità? In Italia ci sono diverse razze ovine da carne, tutte di pregio se allevate esclusivamente al pascolo (con fieno in inverno) senza aggiunte di mangimi più o meno integrati. Qualcuna di queste ha un tocco in più e, guarda caso, la tradizione locale ha sempre privilegiato una macellazione più tardiva.
Per esempio la Sambucana piemontese, una razza a tripla attitudine, da carne, da lana e da latte, è esclusiva della Valle Stura di Demonte (CN), dove la sua presenza è documentata da oltre 1500 anni e dove si arrampica su alti pascoli ricchi di erbe aromatiche.
La carne è un’autentica delizia: compatta, solida, saporita, poco grassa e ricca di proteine. Normalmente la macellazione avviene all’età di sessanta giorni, quando il peso è di circa 20 kg, ma la vera chicca è il Tardoun, ovvero l’agnellone di circa 40 kg nato alla fine della primavera e alimentato con il latte materno e l’erba degli alpeggi.
Seppure diverso perché diversa è l’alimentazione invernale (prevale il fieno sul pascolo), il Sambucano quasi adulto si trova anche a Pasqua.
È protetta da oltre 1000 anni la pecora alpagota, ovvero dell’Alpago, regione montagnosa del Bellunese: quando Berengario assegnò il territorio alle Mense vescovili di Belluno, queste si preoccuparono di conservare integra la razza e di vietare l’esportazione del foraggio.
La Serenissima proseguì in questa politica e l’Alpagota ha conservato la sua tipicità garantendo una carne molto tenera, con un gusto tipico ma poco selvatico, con un buon equilibrio tra magro e grasso. Gli agnelloni, allevati all’aperto, vengono sacrificati quando pesano circa 20 kg, a due mesi di vita.
Nel Casertano invece è in auge una pecora interessante perché prende il nome (latis = larga e cauda = coda) dalla coda adiposa, grossa ed espansa alla base, che in origine aveva le stesse funzioni della gobba del cammello: accumula grasso quando i pascoli sono verdi e lo utilizza durante la siccità senza interrompere la produzione di latte. Infatti ha avuto origine dall’incrocio tra razze appenniniche e razze berbere importate dal nord Africa dai Borboni. Tanto grasso in coda, assai meno nei muscoli, quindi carne magra, ma anche più delicata per il basso contenuto dei due acidi volatili capronico e caprilico responsabili dell’odore tipico della carne ovina che non a tutti piace: ecco le peculiarità che rendono così pregiata questa razza.
Oltretutto questa razza, che esige il pascolo per dare latte sufficiente, è pure molto produttiva: si accoppia tutto l’anno, i parti gemellari (fino a 5 agnelli!) sono oltre il 75%, gli agnelli crescono rapidamente. L’agnello di Laticauda è proposto di 25-28 kg dopo circa 3 mesi di vita.
Ecco tre razze tipiche di territori italiani di cui tradizionalmente si preferiscono agnelloni che hanno pascolato per qualche settimana. Più crescono più le loro carni sono gustose e succose.
Sambucana piemontese, razza a tripla attitudine, da carne, da lana e da latte, esclusiva della Valle Stura di Demonte (CN)
Pecora alpagota, ovvero dell’Alpago, regione montagnosa del Bellunese: razza da carne e da latte protetta da oltre 1000 anni.
Pecora Laticauda, incrocio tra razze appenniniche e razze berbere importate dal nord Africa dai Borboni. E’ da carne ma fa pure un latte per grandi pecorini.