Il problema del cibo sicuro è sulla bocca di tutti. Ma chi legifera e chi controlla pensa solo a sanificare tutto, persino troppo. Così, preso da esagerati pericoli del presente, trascura quelli più gravi e concreti dovuti all’abuso di additivi.
Quanti morti a causa del botulino ci sono stati negli ultimi decenni in Europa?
Un dato statistico certo non esiste, ma l’Istituto Superiore della Sanità italiano un paio d’anni fa parlava di venti intossicati e cinque morti all’anno in Italia. E dovuti a conserve fatte in casa. Non mi sembra siano aumentati.
Secondo una statistica europea, nell’ultimo decennio del secolo scorso i casi di botulismo alimentare in Italia sono stati inferiori a quaranta l’anno, di cui pochissimi con esito letale e solo il 14 per cento causati da cibi commerciali (non fatti in casa).
Quanti, invece, sono i morti per tumori la cui causa è molto probabilmente l’abuso di sostanze chimiche utilizzate come additivi? E quanti i casi di osteoporosi causati da certi addensanti? O le patologie cardiocircolatorie, renali, epatiche dovute a trattamenti sanificanti del cibo che eliminano anche utili sostanze protettive?
Certo, qualcuno potrebbe obbiettare che proprio l’eccessiva sanificazione operata in Italia ha evitato le varie tossinfezioni alimentari, tant’è vero che otto su dieci di queste, a quanto ha dichiarato la Coldiretti, sono state causate da alimenti importati.
Ma la sanificazione indiscriminata, tale da distruggere ogni tipicità e quei microrganismi autoctoni che garantiscono la biodiversità, fa lo stesso danno di quelle mamme che hanno i figli obesi e immunodepressi perché impediscono loro di giocare o fare sport all’aria aperta affinché “non prendano freddo”.
Non dobbiamo trascurare il pericolo del botulino, ma il vero e proprio “terrorismo” legato al botulino tanto da temerlo sempre e ovunque è altra cosa: se parliamo con i produttori d’ogni dimensione, dall’industriale al piccolo artigiano, questi giustificano l’utilizzo di additivi totalmente inutili (e di cui è provato il rischio tumorale) con il terrore del Clostridium botulinum. Eppure i loro prodotti molto spesso hanno una sufficiente acidità da escludere la presenza del patogeno; oppure manca il presupposto per la presenza, in qualsiasi fase produttiva, del Clostridium, ovvero l’ambiente anaerobico.
Ma – dicono costoro, a proposito dell’additivo inutile aggiunto – «le ASL ci impongono di metterlo». A parte il fatto che non ci sono norme di legge che impongano l’utilizzo di qualsivoglia additivo chimico, si tratta di un “consiglio” (molto spesso un “ricatto”) da parte di chi vuole lavarsene le mani evitando il remoto rischio immediato (che lo coinvolgerebbe) e non considerando i rischi veri a lunga scadenza, che ammazzano la gente ma senza che l’evento possa essere collegato a una trascuratezza dell’autorità sanitaria.
Naturalmente ci riferiamo ad alcune ASL e ad alcuni funzionari, ce ne sono tanti altri che operano correttamente e rispettando i limiti del loro potere.
L’affidarsi – da parte del legislatore – alle “piccole dosi consentite” di additivi potenzialmente pericolosi è un comportamento inqualificabile, diremmo addirittura criminale, perché i medesimi additivi sono presenti in tanti diversi alimenti per cui la loro assunzione si accumula.
La vera sicurezza non riguarda solo le tossinfezioni, perlopiù innocue, del giorno dopo, ma la salute pubblica nel tempo, che non può riferirsi solo ai rischi di patologie ma pure alla difesa della diversità alimentare e dell’educazione del gusto.
Il nostro appello a chi legifera e a chi controlla è dare maggior fiducia alla professionalità dell’artigiano che alla molecola tossica: che ne siano verificate pure l’igiene e le competenze, soprattutto le provenienze delle materie prime, ma che poi sia lasciato in pace!
L’industria, ovviamente, è un’altra cosa: i grandi numeri – di persone più che di prodotto – e proprio certe provenienze delle materie prime richiedono molta più prudenza.
L’immagine di apertura rappresenta il massimo del ridicolo, il peggior esempio di consumatore viziato (e con il senso del gusto patologicamente in apnea): carne fresca da mangiare cruda con il tossico nitrito e tutta una collezione di sostanze chimiche. Ma che senso ha? Ci sono persone così “malate” (non riesco a trovare parole più adeguate) da voler per forza tenere in frigo carne da mangiar cruda a scadenza un po’ prolungata anche a costo di ingerire sostanze chimiche dannose? Con consumatori del genere le autorità sanitarie non hanno torto a temere il botulino.
In questo caso il produttore o ha usato aromi artificiali e non naturali o non sa fare l’etichetta (ma spesso l'”errore” è suggerito dal funzionario ASL o dal tecnologo che preferisce essere più generico possibile per limitare le possibilità di controlli). A parte questo, a che serve il potenzialmente cancerogeno nitrito di sodio (E250)? Se la carne non è una porcheria basta e avanza il nitrato di potassio o salnitro (E252). E si potrebbe fare a meno anche di questo, che comunque salutare non è, se la carne è buona. Ma il suo utilizzo ha una lunga storia (ben giustificata quando non sapevamo governare il freddo) ed è difficile convincere chi l’ha sempre usato a eliminarlo del tutto.
Il nitrito nel prosciutto cotto invece purtroppo ci vuole quasi sempre: è un prodotto che non dovrebbe esistere sottovuoto e a lunga scadenza perché contiene molta acqua libera e le difese naturali sono state uccise dalla cottura. In origine il salumiere teneva il prosciutto crudo in concia e lo cuoceva quando serviva, così doveva durare pochi giorni e non sottovuoto. Ma gli aromi artificiali? L’abitudine di propinare prosciutto cotto negli ospedali e nelle scuole è – per usare un eufemismo – un errore. Ma mi verrebbero in mente parole molto più pesanti.
La cosiddetta panna vegetale certamente non si smonta mai, come ha detto con comico entusiasmo Benedetta Parodi in TV, ma di cosa è fatta? Per chi è allergico al lattosio ci sono tante altre cose buone e non c’è bisogno dell’imitazione di un naturale latticino fatto in provetta: è assurdo che la legge consenta queste bombe chimiche e tartassi chi si limita a lavorare con i conservanti di sempre: sale, zucchero, aceto, olio, caldo, freddo… e tanta antica sapienza.