Al congresso internazionale di Vinitaly l’Accademia delle 5T ha lanciato l’allarme sul problema della biodiversità delle fermentazioni con un’introduzione generale di Guido Stecchi e la testimonianza di un vignaiolo all’avanguardia, Walter Massa.
L’introduzione di Guido Stecchi
Sono qui per un grido d’allarme, cosciente di non essere il primo, a difesa dell’importanza per il nostro piacere, ovvero l’olfatto e il gusto, per l’ambiente e per il Pianeta della Biodiversità delle fermentazioni, ovvero dei microrganismi, una Biodiversità altrettanto importante di quella delle specie in genere, delle varietà agricole, delle razze zootecniche. L’Accademia delle 5T che rappresento è un’associazione culturale che cerca di formare il consumatore perché diventi sempre più consapevole che è responsabile di tutto ciò che lo circonda, che deve usare l’uso, anzi il gusto della scelta, per condizionare le scelte di quelle realtà più o meno criminali – governi, multinazionali, oligarchie varie – che noi giustamente accusiamo di inquinare e affamare il pianeta ma dimenticandoci le nostre responsabilità individuali. E cerchiamo di far comprendere che essere persone responsabili non comporta sacrifici veri, soprattutto non comporta sacrifici nel buon mangiare. Il luogo comune che ciò che è ghiotto fa male è un’enorme cavolata: ciò che ci gratifica al naso e al gusto è anche il meglio per la nostra salute e per l’ambiente. È solo una questione di limiti. Gastronomia significa scienza del ventre e 12000 anni di saggezza contadina ci hanno portato idee e valori intelligenti non masochismo. Ma per avvalercene al meglio con i grandi vantaggi che ci giungono da conoscenze consapevoli (che chi ci ha preceduto aveva ma senza sapere i perché) e da tecnologie più sofisticate dobbiamo preservare la Biodiversità e la diversità culturale, immense nel nostro paese, che ne sono il presupposto.
E per la tutela della biodiversità i microrganismi presenti nel terreno, nell’aria, nei prodotti e nel nostro corpo (numericamente 10 volte di più delle nostre cellule) sono altrettanto importanti, se non di più, della scimmietta del Borneo, della mela antica o della razza di suino che sta scomparendo.
Che i microrganismi autoctoni siano fonte di eccellenza gustativa e salutistica in formaggi, pane e salumi, per esempio, è scientificamente acquisito, eppure c’è ancora chi punta alla standardizzazione, il vero nemico del palato e della salute. Soprattutto una contraddizione delle leggi di natura.
Lascio a Walter Massa entrare nel tema specifico del vino, io non ne ho le competenze, so solo, però, che il vino è l’unico prodotto di cui è riconosciuto da tutti che la diversità è un pregio e lo standard qualcosa di strano. Non so se i lieviti selezionati a migliaia km di distanza siano responsabili di omologazione, sono certo, però, che la mappa microbica dei terreni, per esempio, è causa di diversità e identità.
La testimonianza di Walter Massa
Il concetto attualmente tanto di moda di vino naturale mi lascia alquanto perplesso perché, prima di tutto, manca una corretta definizione della parola “naturale”, abusata da tutti, al punto che, se vogliamo estremizzare il concetto, un salame naturale sarebbe tale solo se il suino morisse di morte naturale. Mi sembra molto più giusto parlare di “vino secondo natura”.
La natura del 2018 ci concede acqua potabile, energia elettrica, informatica, trazione a motore, possibilità di pensare e produrre “senza limiti”, ma il miglior ingrediente rimane “guardare dietro per andare avanti con serenità”.
Abbiamo pertanto conoscenze superiori a pochissimi anni fa e inferiori a quelle dei prossimi anni.
Mi sono approcciato al vino con basi scientifiche, in quanto enologo, ma ho concentrato tutte le attenzioni sulla parte agricola per far uscire dal limbo il mio territorio con i suoi 4.000 anni di coltura e cultura. Ho cercato di valorizzare la storia enologica del territorio, con protagonista principale la parte agricola.
La conoscenza teorica sicuramente mi è stata molto utile per le scelte agronomiche ed enologiche, per entrare nelle problematiche biologiche, chimiche e sanitarie, affrontandole con ingredienti ove i principi attivi solitamente sono complementari.
L’azienda di famiglia è stata condotta da tre generazioni al passo con i tempi, quindi anche con il grande errore, negli anni ’60 del secolo scorso, di abbandonare certi trattamenti a favore di fitofarmaci di sintesi e di interagire nel terreno con concimi chimici. Ma gli errori insegnano, così ho avuto il grande vantaggio di capire l’importanza dell’equilibrio nutrizionale, produttivo e vegetale, dell’erosione, del rispetto dei tempi di maturazione e allevamento.
Così da fine anni ’70, con il mio avvento in azienda, la materia che più ho usato per far prevalere il mio pensiero è stata la psicologia: infatti ritornare a 80 ql di uva a ettaro, a 5.000 ceppi a ettaro, al letame, al rame, aumentare a 5 i passaggi con lo zolfo hanno significato un po’ mortificare il pensiero di mio papà e di mio zio.
Le scelte enologiche ho fatto meno fatica a farle accettare in quanto la nostra cantina in quegli anni vinificava esclusivamente per sfuso e damigiana. Ho portato solo investimenti in attrezzature moderne e razionali, mai, invece, costosissimi sacchetti di pozioni magiche.
Walter Massa e Guido Stecchi durante il loro intervento sulla biodiversità dei microrganismi
Il pubblico intrigato dalle esternazioni di Walter Massa
Saccharomyces cerevisiae, il lievito del vino (e non solo)
ALCUNI MOMENTI DI WINE2WINE
Da sinistra, Giovanni Mantovani, direttore di Verona Fiere, Marino Braccu, sommelier e manager all’Otto e Mezzo Bombana di Hong Kong (premiato in questa occasione), Maurizio Danese, presidente di Verona Fiere e il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali e del Turismo, Gian Marco Centinaio.
Il senatore Dario Stefano interviene sul turismo del vino
La relazione dell’Associazione Donne del Vino con la presidente Donatella Cinelli Colombini
Con gli sbagli abbiamo capito che in certe situazioni di coltivazione sono più importanti i microelementi e gli esseri viventi del terreno che la gestione del suolo e quindi sono state bandite fresature, arature e via dicendo e tutti i miei 27 ettari di vigna, una volta affrancato il vigneto, restano completamente inerbiti. Il cotico erboso mette in condizione di creare sostanza organica e possibilità di intervenire con tempestività in primavera con trattamenti preventivi. E permette di poter entrare in vigneto per la vendemmia ancora manuale appena le uve e le foglie dei filari sono asciugati dalla pioggia. Ovvero niente fango.
La cantina propone sul mercato tre tipologie di vino: rosso, bianco, dolce. Il rosso viene prodotto vinificato in cemento con semplice macerazione e pochi rimontaggi all’aria dell’uva diraspata, senza lieviti aggiunti, con 25 milligrammi litro di solfiti aggiunti per portare il vino in bottiglia con 40/45 milligrammi litro di SO2.
L’approccio in cantina bandisce completamente enzimi, lieviti, batteri tranne che per la presa di spuma del Moscato che, essendo l’unico vino che non ottengo ma che faccio, deve avere una precisione stilistica. In questo caso non si può giocare su un approccio sensoriale che si può iconizzare come “strabismo della Venere di Milo”. In questo caso utilizzo una scelta di lieviti che garantisce il rispetto degli aromi e la fermentazione solo fino a 5° alcolici. E con un massimo di 90/100 mg litro di solfiti.
Per i vini rossi la macerazione e la vinificazione tradizionale garantiscono una flora fermentativa sufficiente per trasportare nel bicchiere la perfetta interazione Barbera – territorio tortonese – annata e… Walter Massa…
Per i vini bianchi, esclusivamente da uve Timorasso raccolte dagli attuali 12 ettari che insistono in un raggio di 1000 metri: macerazione pellicolare, decantazione statica, attivazione della fermentazione con nutrimento ai lieviti, filtrazione, stabilizzazione, solfitazione con massimo 45/55 mg litro, imbottigliamento sterile…
Alcuni anni fa, poi, sono stati individuati sulle mie uve alcuni ceppi di lieviti che utilizzo come piede di partenza quando la fermentazione fatica a partire.
Tutto questo bel discorso comunque ha senso solo potendo affermare che la mia azienda non acquista né un “litro di uva né un kikko di vino”.
Diversamente, purtroppo nel marasma della ubriaca, storpia, e sempre traviante comunicazione del luccicante mondo del vino, troppe aziende più o meno rampanti sposano scelte “perbeniste”,
succede così che i sogni a scadenza non si avverano: si predica ogni genere di viticoltura “verde” ma poi, ogni tanto, ci si ritrova con produzioni di uva pari a circa zero.
Con la poesia fatta cavalcando la sensibilità ambientale e salutistica, con immaginario collettivo deviato, ci si rivolge al mercato del vino sfuso dove di verde, non vi è nemmeno la benzina, in quanto il vino viene spostato tra le cantine con motori diesel, ossia a gasolio.