Nel gennaio dell’anno scorso, quando fu diffuso il regolamento UE del 3 gennaio 2023 (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX%3A32023R0005) che liberalizzava la vendita in Italia dei grilli e della loro farina abbiamo condiviso, anche sulle pagine dell’Accademia delle 5T, l’opinione che un crescente allarmismo era infondato perché ognuno era (ed è) libero di scegliere se mangiare o no prodotti comprendenti simili ingredienti e che l’obbligo di indicarli in etichetta con nome italiano e nome scientifico, oltretutto evidenziati come allergeni, garantiva la libertà di scelta.
Quindi l’affermazione tanto diffusa sul web quanto ridicola che la farina di grilli sarebbe stata imposta o nascosta, oltretutto addirittura nella composizione di cibi fondamentali come il pane era ed è infondata…
Tuttavia…
Già, da allora diverse cose sono cambiate o si sono intuite, il tema è molto più complesso sia nei fatti sia nelle domande che è lecito porsi.
Cominciamo dalla trasparenza
In realtà, intanto, la data fondamentale non è a gennaio ma è il 6 aprile 2023 quando il Ministero ha emanato 4 decreti (pubblicati però sulla Gazzetta Ufficiale 302 del 29 dicembre 2023), uno per ogni singolo insetto consentito: grillo (Acheta domesticus), larva gialla della farina (Tenebrio molitor), larva del verme della farina minore (Alphitobius diaperinus), locusta (Locusta migratoria), in esecuzione di normative europee risalenti a diversi anni prima.
La lettura di questi decreti tranquillizza – ma, come vedremo, solo per i prodotti made in Italy – perché sono estremamente severi sulla trasparenza delle etichette garantendo un’informazione completa (nome italiano e scientifico dell’insetto), con una particolare evidenza sia perché citati come allergeni, sia nella grafica delle informazioni.
Nell’articolo 5 (Termini di applicazione e clausola di mutuo riconoscimento), tuttavia, al punto 2 tutti e quattro i decreti recitano così:
2. Le disposizioni del presente decreto non si applicano ai prodotti di cui all’art. 1 legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell’Unione europea o in Turchia o in uno Stato parte contraente dell’accordo sullo Spazio economico europeo.
Ciò significa che siamo sufficientemente garantiti solo per i prodotti di aziende italiane?
Bastano le normative europee generali su Etichettatura e Tracciabilità per offrirci le medesime garanzie anche per i prodotti importati? A nostro parere no perché l’elenco dei prodotti che devono essere evidenziati come allergeni è fermo ai 14 del Regolamento del 2011, mentre in un aggiornamento del 2021 non si fa cenno agli insetti. Pertanto non è prevista una particolare evidenza sull’etichetta.
Come si dividono gli Italiani
Ad accettare senza particolari riserve di mangiare gli insetti – e in particolare questi 4 insetti – sono un’esigua minoranza, ovviamente aldilà dei curiosi – tanti dal punto di vista mediatico ma pochissimi nei numeri effettivi – in coda davanti ai locali di alcuni furbetti che hanno approfittato della situazione per proporre a prezzi esosi hamburger, pizza o altro con farina di grilli.
Molto più numerosi sono coloro che li rifiutano visceralmente, ovvero senza un’opinione meditata bensì per una certa repellenza “culturale”, o, in questo particolare momento storico, per solidarietà con il movimento dei “trattori” che li rifiuta anche dal punto di vista simbolico.
Era a nostro parere, ma forse non lo è più, la maggioranza quella fascia di pubblico che ha affrontato il tema nel modo che potremmo definire più razionale, ovvero coloro che invece affermano che non li mangeranno mai ma che non si scandalizzano per la possibilità di mettere in commercio prodotti con gli insetti perché la legge garantisce una totale trasparenza ed è quindi una questione di libera scelta.
Quest’ultima presa di posizione mostra un gran buon senso, tuttavia, come sempre, ci sono dei “ma” ed è indispensabile un maggiore approfondimento proprio per i limiti già esposti sulla trasparenza e per un più attento esame dei motivi di chi ha affrontato il problemi con una maggiore attenzione: la presenza di chitina, gli effetti sulla salute, la decantata ma non dimostrata maggior sostenibilità rispetto ad altri alimenti proteici, il loro effettivo consumo in altre popolazioni, le questioni igienico-sanitarie.
I motivi del contendere: altrove li hanno sempre mangiati
A parte il fatto che non c’è ancora chiarezza sull’identità degli insetti consentiti con quelli mangiati da popolazioni lontane, per esempio ci sorgono molti dubbi sulle larve della farina che hanno tanto l’aria di uno stratagemma per consentire alle multinazionali del grano minori costi di stoccaggio e cura della materia prima. Ma questo è un sospetto di memoria andreottiana: “a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”.
Il problema è un altro: “siamo quello che mangiamo” ovvero ogni popolo si è evoluto in base al cibo disponibile in relazione all’ambiente in cui vive e alle disponibilità naturali. Noi Europei in tempi storici, forse salvo particolari emergenze, non abbiamo mai consumato insetti, tantomeno in modo significativo.
Non ha senso obbiettare che già la globalizzazione ha portato a una diffusione di molti ingredienti nuovi nelle abitudini alimentari europee e, forse più recentemente rispetto ad altri, italiane. Infatti sono aumentati i tipi di cereali, di grassi vegetali, di frutta e verdura, di legumi, ma sempre cereali, grassi vegetali, frutta e verdura e legumi restano, con contenuti nutrizionali magari diversamente distribuiti ma simili.
Paragonati ai crostacei
Gli insetti in questione, in particolare grilli e locuste hanno forse similitudini nutrizionali con i crostacei di mare ma di questi ultimi noi consumiamo solo la polpa, non anche quello che potremmo grossolanamente chiamare “guscio”, in forte percentuale invece, per esempio, nella farina di grilli.
La principale materia del contendere per quanto riguarda l’aspetto salutistico è infatti la chitina, ovvero un componente importante delle “corazze” di insetti e crostacei, che non potremmo evitare mangiando insetti.
Sui difetti – o pregi – della chitina nell’alimentazione umana, se non addirittura su una presunta cancerogenicità le opinioni sono discordi, non sappiamo quanto viscerali o motivati da parte delle diverse “tifoserie” (i toni del contendere – se ci basiamo sui social – meritano questa definizione) né vogliamo metterci in competizione con tanti “scienziati” più o meno illustri o più o meno “scienziati”.
In realtà la chitina è presente anche nei funghi, ha affinità con la cellulosa e forse potrebbe svolgere il ruolo delle varie fibre nella nostra alimentazione, per cui, come spesso accade, il contendere dovrebbe considerare non la sostanza in sé ma la quantità, ovvero la percentuale di chitina in un’alimentazione in cui gli insetti dovessero avere una certa importanza.
Pertanto non è da questo punto di vista che un certo eccessivo allarmismo potrebbe essere giustificato perché non è credibile, almeno per ora, che gli insetti arrivino a essere più che un ingrediente occasionale.
Tanto più che per il momento in Italia hanno un prezzo alto per cui possono interessare all’industria tuttalpiù per questioni di marketing e sembra che il pubblico non favorisca un consumo diffuso.
Almeno per ora, perché a essere allarmante è il problema igienico-sanitario se si avverassero le distopiche voci sull’allevamento degli insetti.
Gli insetti cibo del futuro?
Sta qui il problema maggiore e non per l’ipotesi in sé ma per l’ignoranza sulle autentiche motivazioni del problema della fame soprattutto in Africa e sulla falsità delle soluzioni prospettate attraverso una diffusione degli insetti come fonti di proteine in luogo della carne in particolare bovina.
Cominciamo da due dati di fatto che tutti sanno ma quasi tutti, obnubilati dai media schiavi delle multinazionali, ignorano o, foraggiati, fanno finta di ignorare.
In primis il problema della fame per ora e per i prossimi decenni non deriva da mancanza di risorse alimentari ma da una produzione finalizzata a sfamare l’emisfero nord rapinando l’altro emisfero con un conseguente spreco che, secondo alcune fonti, supera il 50%. A parte ovviamente il problema delle guerre e guerricciole a macchia di leopardo.
Si tratta quindi di un problema di distribuzione innanzitutto, che non sarebbe difficile risolvere, e da un problema di avidità e potere che è ben più difficile da risolvere perché è quello delle multinazionali (non solo quelle di settore ma anche e soprattutto quelle delle armi e del petrolio) e, di conseguenza, della cupola finanziaria.
In secondo luogo il problema dell’eccessivo consumo di risorse ed eccessiva emissione di CO2 nasce dagli allevamenti intensivi che si possono facilmente evitare sia perché in ogni caso il consumo di carne in Occidente (e non solo) è eccessivo dal punto di vista di una corretta alimentazione ed è indispensabile un’evoluzione culturale che porti a una sempre maggior percentuale di ingredienti vegetali nelle abitudini alimentari sia perché ci sono ampi spazi in entrambi gli emisferi adatti anche al pascolo senza bisogno di deforestazione: una delle soluzioni è nel recupero di tanta terra resa priva di acqua non da normali cicli naturali ma da uno sfruttamento delle multinazionali che hanno eliminato una vegetazione funzionale a un’agricoltura di sopravvivenza per sostituirla con colture intensive e monoprodotto finalizzate a rimpinguare i mercati dell’emisfero nord con alimenti a bassissimo costo (e non altrettanto basso prezzo) in alta percentuale sprecati. Ovviamente non basta restituirla alle popolazioni legittime proprietarie ma occorrono quegli aiuti tecnologici che oggi, con le moderne conoscenze, possono fare miracoli.
Una resa culturale e immorale allo strapotere delle multinazionali imporrebbe di allevare gli insetti invece di imporre freni agli allevamenti intensivi?
Perché? Forse gli insetti non mangiano e non consumano?
La storia racconta di carestie provocate da invasioni di cavallette non da branchi di antilopi o di gnu. E il consumo di risorse va commisurato alla resa in alimento proteico: gli insetti mangiano più dei mammiferi in proporzione al proprio peso corporeo forse calcolando anche il consumo dell’intero ciclo vitale. Ammettiamo pure, comunque, che non fosse così, visto che secondo alcuni studi gli insetti sarebbero più efficienti nel trasformare il cibo in carne, per esempio, dei bovini (ma non crediamo che si possa fare di ogni erba un fascio, dipenderà anche da quali insetti), il problema è anche come e dove gli insetti sarebbero allevati.
Ci riferiamo in particolare a una certa genialata: possiamo allevare gli insetti con i rifiuti organici.
E risolverebbe la fame nell’emisfero sud? Con quali rifiuti? Se non hanno da mangiare non hanno neppure rifiuti, quindi resterebbe il medesimo problema attuale: una corretta distribuzione delle risorse.
E quali rifiuti organici nell’emisfero nord?
Quelli dei prodotti invenduti e in scadenza in commercio? E basterebbero per un serio ruolo degli insetti nella quota proteica dell’alimentazione umana? Assurdo.
I rifiuti organici delle famiglie e delle mense? E non ci sarebbe un serio – ma molto serio – problema igienico sanitario?
Quindi gli insetti potrebbero certamente essere un cibo del futuro, ma uno dei tanti cibi del futuro come oggi, magari con una diffusione geografica più ampia come la globalizzazione sta imponendo per tanti altri cibi. Ma con i difetti comuni a tutti gli allevamenti intensivi: anche gli insetti, anzi soprattutto gli insetti, si ammalano e/o sono portatori di malattie che colpiscono anche l’uomo per cui la promiscuità costringe ad abusare con i soliti antibiotici o peggio.
Tanto accanimento può avere a che fare con la guerra della UE all’agricoltura?
Di primo acchito verrebbe da pensare, quindi, che tanto per cambiare il web e i media alimentino polemiche e allarmismo stupidi che non hanno ragion d’essere perché fanno audience.
Tanto rumore su questo tema non è altro che perdita di tempo da parte di chi evidentemente non ha cose più importanti a cui pensare ma è pure uno dei tanti modi per chi vuole il popolo trasformato in formiche operaie non pensanti per deviare l’attenzione su temi ben più scottanti.
Ma è tutto qui?
Il timore non è verso ciò che siamo liberissimi di non mangiare se non ci va ma verso il cancan che si fa intorno per cercare di farceli mangiare con una pressione psicologicamente efficace sulla massa/branco.
C’è un evidente tentativo nei media – con i soliti prezzemolini sedicenti scienziati o accreditati, non si sa per quali meriti, opinionisti – di imporre le più o meno sincere tesi di coloro che propugnano un consumo diffuso degli insetti. Oggi i media sono condizionati in modo evidente, basta guardare con attenzione come sono fatti gli spot pubblicitari. Ed è impossibile non accorgersi che c’è un’oligarchia, in Occidente come in Russia o in Cina, che riesce a far tollerare scelte assolutamente contrarie agli interessi del popolo come i privilegi che sono alla luce del sole e sempre più agevolati dai governi, scelte vessatorie talmente alla luce del sole dal far apparire incredibile che il “branco” le tolleri.
Ci sono tanti modi di portare avanti una campagna: “parlino pure male purché ne parlino” è una regola ormai datata. E provoca ovviamente la reazione di chi ne parla invece bene. È un meccanismo collaudato. Non vale per tutto ma quando si tratta di incuriosire e quindi portare a una lenta accettazione funziona. La proposta on line (e non solo) delle farine di insetti da almeno un lustro aveva un’altra logica: l’aumento di immigrati che l’hanno sempre compresa tra i tanti ingredienti della loro alimentazione. Ora è diverso, vengono proposti tra gli ingredienti delle nostre preparazioni tradizionali e, soprattutto, si insinua nel consumatore ormai sensibile alla salute del pianeta che sia una sorta di dovere privilegiare gli insetti perché il loro allevamento sarebbe più sostenibile, cosa semplicemente assurda.
Perché?
L’ipotesi aberrante di un tentativo di ulteriore divisione del genere umano tra pochi ricchissimi che mangiano bistecche alla fiorentina e aragoste e una massa costretta a vermi e cavallette non mi sembra realistica: non c’è bisogno degli insetti, c’è già un alimento per i paria, sopravvivono con un pugno di riso.
Quindi il perché (o uno dei perché) che mi viene a mente è collegato al risveglio del mondo agricolo e all’interesse dell’oligarchia imperante che il “branco” non ritenga l’agricoltura così indispensabile nel nostro continente. La simpatia che circonda il movimento dei “trattori”, nonostante i disagi che ne derivano ai cittadini, dimostra per fortuna che stavolta il potere delle multinazionali non ha colpito il bersaglio.