Neil Simon la definirebbe una “strana coppia”.
Che c’entra con l’emblema stesso della cucina celtica continentale il pescetto che più rappresenta, invece, la cucina mediterranea e che riposa mirabilmente nell’olio da olive?
Che c’entrano le acciughe con il burro? Naturalmente ci riferiamo alle acciughe sotto sale o ai loro filetti messi sottolio. E ci pare ancora più strano perché ci portano sulla Riviera Ligure a Camogli o Monterosso, sulla Costiera Amalfitana a Cetara, in Sicilia a Sciacca o Marzamemi… non certo tra le verdi marcite di Lodi o sulle malghe alpine, luoghi dove fino a non troppi decenni fa era compito dei bambini agitare la crema di latte nelle zangole per trasformarla in burro.
I golosi più pragmatici, quelli che badano al sodo, hanno una risposta prontissima: “il burro e le acciughe salate c’entrano eccome, insieme sono una bontà! La delicatezza avvolgente del burro mitiga la violenza salata del pesciotto e ne salta fuori un equilibrio perfetto”. Tutto vero, ma non basta a quei gourmet che trovano che un cibo è più affascinante, persino più gustoso, se nasce da una tradizione e magari da una bella storia. Burro e acciughe accontenta pure costoro, ma solo per quanto riguarda la storia, perché di tradizionale ha ben poco. La storia delle acciughe in barile, ovvero sotto sale, dipende ovviamente dal sale, le antiche vie del sale passavano per le vallate appenniniche emiliane e per le vallate alpine, dove i contadini hanno sempre fatto il burro. La loro storia in comune è tutta qui, in un lungo viaggio insieme minacciato da briganti e sgherri che pretendevano esosi dazi: le acciughe salate lasciavano il mare e percorrevano queste antiche vie, lungo le quali incontravano il burro proseguendo il viaggio insieme, entrambi merci di scambio appetite dalle più raffinate tavole di città. Durante il percorso le acciughe stimolavano l’inventiva delle massaie, mentre a destinazione le attendeva la professionalità un po’ sontuosa dei cuochi delle case nobiliari.
La cucina tradizionale con le acciughe in barile non ha quindi confini, nè territoriali né di censo, è cucina raffinata e cucina povera, internazionale e regionale, marinara e contadina, ma non è condita con il burro: le acciughe si sono portate dietro l’olio da olive, ovunque loro tradizionale e abituale compagno nei piatti costruiti in cucina. Ma l’abbinamento tra burro e acciughe non nasce in cucina, bensì in tavola: è una raffinatezza, un “appetizer” si direbbe oggi. Se torniamo indietro nel tempo, infatti, spalmare era un gesto da dama della buona società, tuttalpiù veniva delegato al “commis”, ossia al giovane apprendista della brigata di cucina. Fu quindi giocoforza inventarsi tanti bei burri aromatizzati, o meglio insaporiti, per dare fantasia all’assaggino in attesa che il pasto fosse servito: fu subito evidente che questo è un ruolo ideale per l’acciuga salata, che per sapidità, aroma, consistenza si amalgama perfettamente al burro. Inoltre, cosa che non guasta, l’acciuga salata è disponibile tutto l’anno. Così nelle enciclopedie, alla voce burro composto o burro aromatizzato, quello con le acciughe occupa sempre il primo posto. Nelle tavole contadine? Non se ne parlava nemmeno: il pane si divorava a tocchi intingendolo, quando andava bene, nella “puccia” o nella zuppa, nessuno aveva il tempo e la voglia di spalmarlo di burro, né tantomeno di burro e acciughe.
Qualche volta l’acciuga è pure “firmata”, viene da un porto particolare, è invecchiata come si deve, è di quel produttore tanto bravo, è la specialità della casa, insomma, vuole essere valorizzata. Allora il ruolo si inverte, il burro diventa il comprimario, sta spalmato sul pane in uno strato sottile, poco visibile, il filetto d’acciuga gli si poggia sopra, impertinente: è lei ora la protagonista, non è più quella che dà sapore al burro, è quella che viene cullata dal burro giusto quel tanto che basta per renderla meno aggressiva.
Ma che “comandi” il burro o “comandi” l’acciuga, burro e acciuga è sempre un abbinamento intrigante, ghiotto e pure intelligente. E, una volta tanto, non ci importa se non fa parte della nostra tradizione popolare.
Se il burro è buono e se l’acciuga è buona, però.
E PER LA SALUTE?
Ed è un abbinamento che piace pure al medico che ha buon senso e rifugge l’integralismo “colesterolofobo”. Il burro è criminalizzato dai media in modo maniacale e parossistico: è vero, ci appioppa il colesterolo “cattivo”, mentre l’olio ci dona il colesterolo “buono”, ma è solo un problema di quantità e di chi lo mangia. È ovvio che può essere vietato a chi è afflitto da particolari patologie, ma una persona mediamente sana lo può, anzi lo deve, comprendere nella sua dieta, seppure limitandosi nella quantità. A un bambino, per esempio, il burro è utilissimo per il suo apporto in calcio e vitamine. Oltretutto il burro comprende l’82% di grassi, è quindi meno grasso di qualsiasi olio, che ne comprende dal 98 al 100%. Le acciughe salate sono state definite l’alimento più ricco e completo in assoluto, paragonabile solo al formaggio grana. Che vogliamo di più?
QUALE BURRO
Il burro è sempre un prodotto naturale perché non è altro che il grasso del latte di mucca. La panna che affiora dopo un periodo di riposo del latte o quella separata centrifugando il latte stesso, viene sbattuta con la zangola e si divide in una parte solida e in un liquido, il latticello. La prima, dopo impasto e lavaggio, è il burro. O meglio il burro migliore. La maggior parte del burro in commercio, invece, è ottenuta da panne miste, ossia ricavate centrifugando anche il siero e persino il latticello rimasto dalla precedente lavorazione del burro: è un prodotto naturale ma non eccelso. I casari che fanno formaggio semigrasso, fanno pure poco burro di sola panna di latte: è buonissimo, soprattutto se è quello estivo di montagna, da latte di mucche al pascolo, ma a condizione che sia perfettamente isolato l’ambiente dove il latte riposa e la panna viene a galla. Basta infatti il minimo odore per alterarne poi il sapore: infatti è frequente che il burro di panna d’affioramento abbia sentore di stalla. Questo non avviene nei burri da panna centrifugata, prodotti soprattutto dalle latterie che producono anche latte scremato: spesso sono buonissimi ma hanno meno tipicità e personalità. Il burro non è grasso puro: comprende sempre un 16/18 di acqua, proteine, sali minerali e altre sostanze che durante la lavorazione non è stato possibile separare dal grasso. Scegliamo quello che in etichetta dichiara che proviene da panna di latte.
QUALE ACCIUGA
L’acciuga o alice (Engraulis encrasicholus) viene messa sotto sale appena pescata senza aggiunta di alcun conservante. Tuttalpiù, soprattutto in Calabria, si aggiunge il peperoncino. In commercio è proposta anche sott’olio, ma si tratta comunque di acciughe sotto sale successivamente dissalate, sfilettate e confezionate sott’olio. Di solito si tratta di un olio d’oliva raffinato, non extravergine, raramente di olio di girasole. Se scoliamo via l’olio di conservazione e lo sostituiamo con un buon extravergine, si tratta comunque di un buon prodotto. Tuttavia, per avere la vera eccellenza è meglio scegliere acciughe salate stagionate e dissalarle da noi al momento dell’uso. Il vero segreto della buona acciuga è la stagionatura: in Italia non si trovano più quelle stagionate anche fino a tre anni, ma ci sono ottimi prodotti che hanno da 4 a 12 mesi di stagionatura. Come riconoscerli? Il sale deve essere ancora in cristalli e umido al tocco, il pesce non deve essere rigido, non deve spezzarsi se piegato, la carne non dev’essere asciutta né avere un colore bruno tendente al giallastro o al grigiastro. Il pesce intero deve essere invece flessibile e carnoso, la lisca si deve staccare facilmente, la polpa dev’essere morbida e con tinta tendente al rossiccio, può anche disfarsi, quasi sciogliersi, ma non sfregugliarsi in scaglie. Il profumo deve essere acuto, con forte sentore di sale e non deve ricordare il pesce stantio.
Nel terzo millennio sono diventate di moda, un must dei bistrot e dei wine bar pretenziosi, le acciughe del Cantabrico… nulla da dire, sono belle corpose e più grandicelle, sono pure buonissime… ma quelle dei nostri mari non hanno nulla da invidiare se non badiamo alle dimensioni, se sono lavorate con cura e, soprattutto, stagionate: è quest’ultimo, lo ripetiamo, il vero segreto.
IL BURRO COMPOSTO ALL’ACCIUGA
Il classico burro all’acciuga si prepara montando con un cucchiaio il burro in modo da renderlo cremoso e aggiungendo i filetti d’acciuga tritati insieme a poca polpa o succo di limone. Ci sono però splendide aggiunte: la più ovvia e quasi irrinunciabile è l’aglio, non tritato ma ridotto in pasta con il pestello. L’aggiunta di prezzemolo è banale ma eccellente, quella di dragoncello è geniale, il pepe nero va benissimo, il peperoncino un po’ meno. La cipolla, lo scalogno, il finocchietto, la maggiorana, i semi di coriandolo in polvere sono simpatiche varianti. Il cappero arricchisce e, se usato sottaceto, sostituisce il limone. Il cerfoglio o l’aneto sono tocchi di classe: il primo per un’esaltante condimento da lumache, il secondo per insaporire il salmone o la trota cotti a vapore.