Il bianchetto, il tartufo di primavera

Home » Prodotti di stagione » Il bianchetto, il tartufo di primavera

La natura ci regala tartufi per quasi tutto l’anno, cambiano però le specie: perché farci appioppare assurdi surrogati con aromi di sintesi? In primavera è il turno del Tuber borchii, ovvero il bianchetto o marzuolo.
Il suo profumo è intenso e ricorda vagamente quello del tartufo bianco pregiato (Tuber magnatum) ma con una forte componente di aglio, il sapore è molto gradevole, però di solito è piccolino e cresce in primavera, non in autunno: ecco il Tuber borchii, noto come bianchetto o marzuolo o marzolo.
Il suo prezzo è, ovviamente, legato ai capricci della natura, ovvero a quanto il mercato è in grado di offrirne, ma in media costa meno di un decimo rispetto al bianco pregiato (che comunque in primavera non c’è).

È un tartufo che possiamo trovare in tutte le regioni. Ha avuto sempre una grande importanza in territori dove è l’unico tartufo che cresce in abbondanza, come nelle zone non lontane dal mare di tutta la Toscana, dove si spinge fino alle dune sabbiose dietro alle spiagge, compagno dei pini e dei ginepri, o, al contrario, su per le valli della Lunigiana e della Garfagnana. Abbonda nella pineta di Ravenna e, lungo l’Adriatico, si spinge fino al Salento: qui raggiunge dimensioni maggiori della media e ha assunto il nome di “tartufo di Corigliano”.
Questa sua duttilità nell’ambiente di crescita sta rendendo più facile e diffusa la sua coltivazione, tantopiù che il mercato, soprattutto quello della ristorazione di qualità, lo richiede: il cuoco capace, infatti, preferisce tartufo fresco che assurdi surrogati e in primavera, soprattutto in un periodo di gran lavoro come Pasqua, è il suo turno.
Ha molti estimatori, ma pure molti denigratori: il suo problema è che ha un profumo che dura poco, è davvero intenso e piacevole solo se colto da poco, due o tre giorni al massimo. Tutti i tartufi sono tanto migliori quanto più freschi, ma il marzolo più degli altri.
Rispetto al sontuoso Tuber magnatum è di certo un parente povero, ma, utilizzato nel modo giusto, ci può dare grandi soddisfazioni.
Nella tradizione dei luoghi di raccolta, per esempio in Romagna e sulle coste toscane, amano fare la frittata di bianchetto. Secondo noi, invece, le sue qualità si esaltano se lo aggiungiamo ai tortellini (o altra pasta ripiena come gli anolini o i cappelletti) o ai passatelli in brodo. L’ideale sarebbe avere la classica zuppiera con coperchio, riempirla di una di queste sontuose minestre, aggiungervi una generosa grattata di bianchetto, incoperchiare immediatamente e portare in tavola: quando apriremo per immergere il mestolo e riempire le fondine, tutta la sala da pranzo sarà invasa dal profumo e quel brodo avrà un gusto speciale.
Se appena raccolto, comunque, può anche sostituire il bianco pregiato sull’uovo fritto, sui tagliolini, sul risotto, sulle paste ripiene asciutte, o anche su preparazioni delicate di pesce bianco sfilettato e carni bianche: tuttavia, questo tartufo rende di più se aggiunto in parte già in cucina, leggermente scaldato, mentre un’ultima grattata a crudo completerà il piatto. Per fare qualche esempio: nell’uovo al tegamino mescoliamone un po’ all’albume durante la cottura, aggiungendo il tuorlo successivamente e altro bianchetto prima di togliere dal fuoco; nel risotto mettiamone un po’ nella mantecatura finale; facciamo saltare un tantino la pasta all’uovo in tegame con il condimento e un po’ di bianchetto; sulla carne e il pesce nappiamolo col fondo di cottura… Teniamo anche conto che il bianchetto va a nozze con un buon olio extra vergine d’oliva, al contrario del bianco pregiato, sposo fedelissimo del burro.

Imbrogli immaginari e imbrogli veri
Qualche decennio fa il bianchetto non si poteva vendere: il nostro “brillante” legislatore, non smentendo la costante dabbenaggine che caratterizza il modo italiano – ed europeo – di legiferare in campo agroalimentare, ha avuto la stupida idea di non consentire il commercio del Tuber borchii perché qualche truffatorello lo mescolava con il tartufo bianco pregiato. Questa norma sciocca, che toglieva dal mercato un ottimo prodotto e una fonte di reddito per i tartufai, è stata poi abrogata. E nessuno si sogna ugualmente di vendere il bianchetto al posto del bianco: non è un imbroglio facile, ormai il mercato conosce bene il prodotto. Purché sia tartufo fresco. Invece ingannare il consumatore con prodotti “al tartufo” che contengono al posto del prezioso tubero un aroma sintetico è una pratica comune che la legge consente: basta che in etichetta ci sia la parola “aroma” ed è tutto legale. Peccato che la corretta informazione non è una caratteristica del nostro paese e che ancora in tanti non leggono o non sanno leggere un’etichetta.
Può capitare che troviamo sul mercato – seppure le legge non lo permetta – bianchetti in altre stagioni: non si tratta del Tuber borchii e chi lo propone è in perfetta buona fede. Esistono, infatti, alcune specie che sono vere e propri sosia del borchii, riconoscibili solo con il microscopio: per fortuna sono buoni commestibili come il bianchetto.

Il tartufo dei campioni
I bianchetti sono l’ideale per allenare i cani da ricerca, perché spesso crescono in famiglie numerose profumando il terreno circostante, per cui i cani si confondono nel tentativo di localizzarli, e sono stimolati alla scoperta con una relativa difficoltà. Non a caso in molte gare per cani da tartufo vincono quelli dei tartufai che vengono da zone dove cresce solo – o quasi – il bianchetto, come le pinete costiere della Romagna o della Maremma grossetana. Pur essendo, come tutti i tartufi, funghi ipogei che crescono sottoterra, molte volte affiorano dal terreno o si trovano a pochi centimetri di profondità.
Capita così che saltino fuori i soliti vandali che, trasgredendo la legge che impone l’esclusiva ricerca con il cane, sconnettono il suolo peggio dei cinghiali, rastrellandolo nei siti abituali di crescita del bianchetto. E magari non ricoprono neppure le buche danneggiando il micelio.

Piccolo ma generoso
Il Tuber borchii è un tartufo di forma più o meno globosa con frequentemente dei bitorzoli. La buccia esterna (in gergo peridio) è evidente quanto lo tagliamo, al contrario del bianco pregiato che non mostra alcuna separazione e differenza tra la polpa e lo strato superficiale. La superficie è liscia e di colore variabile dal nocciola-biancastro sino al rugginoso. La carne (in gergo gleba) all’inizio è di colore nocciola chiaro, poi diventa gradualmente di color fegato ed è marezzata da vene biancastre piuttosto spesse ramificate tra di loro. Le dimensioni sono piuttosto contenute: generalmente arriva sino ai 4 centimetri raramente ai 6, anche se sono stati trovati, soprattutto in terreni molto soffici, esemplari più grandi, sino a 12-15 cm e i 150 grammi.

Lo possiamo trovare dall’inverno sino alla primavera inoltrata, in Italia la legge ne consente la raccolta dal 15 gennaio al 30 aprile (con notevoli variazioni di calendario in alcune regioni).
Ed è un tartufo di poche pretese: non è per nulla schizzinoso nel scegliersi la pianta con cui vivere in simbiosi, per lui latifoglie, aghifoglie o bosco misto fa lo stesso, pur se possiamo citare, tra le piante preferite, i pini, le pseudotsughe e i cedri (conifere d’importazione), il ginepro coccolone, i pioppi, le querce mediterranee, il nocciolo, il corbezzolo, i cespugli di cisto. Gli va bene qualsiasi tipo di terreno e qualsiasi altitudine, vivendo benone al calduccio delle dune lungo il mare come all’aria fresca di montagna.

Lascia un commento

Vuoi ricevere gratuitamente la

TABELLA DI DESCRIZIONE DEGLI ADDITIVI?



    Clicca sulla X per chiudere e visitare il sito