di Pietro D’Alessio
Mi trovavo davanti a un piatto di stinco di maiale in una birreria fumosa e odorosa di Monaco di Baviera. Tra fiumi di birra che riempivano i boccali e odori che richiamavano crauti stufati e salse al cren. Ero in compagnia di un amico bavarese che subito mi chiese: “Perché voi Italiani mangiate sempre pasta? Noi preferiamo la carne. E poi, in Italia, si finisce sempre per eccedere nelle quantità a tavola!”.
Non risposi subito in modo esauriente ai suoi quesiti. Poi, a freddo, quelle domande mi diedero lo stimolo e la curiosità per qualche riflessione su alcune dinamiche di consumo di pasta e carne nel corso dei tempi.
Tra Medioevo e Seicento, rileva Montanari, le carni scomparvero progressivamente dalle diete delle classi popolari.
La pasta, che spesso si utilizzava come contorno cominciò a “scalzarle” dai pasti. Miseria, carestie e malattie e l’invenzione e introduzione del torchio meccanico nei primi pastifici partenopei ne favoriscono una diffusione rapida a tutte le classi. A fine Cinquecento, il popolo napoletano cambia la sua denominazione in pochi anni da mangiafoglie a mangiamaccheroni.
Già intorno all’anno 1000 a Trabia, vicino a Palermo, i Siciliani producevano i triyah, dei vermicelli a base di farina che consumavano quotidianamente ed esportavano in tutto il Mediterraneo. Comunque, sino al Seicento e al di fuori dell’Isola, la pasta rimase un cibo per privilegiati.
Sempre tra Medioevo e Seicento in Italia come nel resto d’Europa il ritmo del pasto rispettava una cadenza ternaria: entrata (antipasto) – piatto ‘principale’ (carne e/o pesce) – uscita (formaggio, dessert, frutta).
I ruoli si invertirono e la carne divenne contorno della pasta sotto forma di ragù.
Lo stesso accadde – a seconda delle regioni – col riso e la polenta dando così origine a una peculiarità italiana del pasto, il Ritmo quaternario: entrata (antipasto) – primo piatto (pasta/riso o polenta) – secondo piatto (carne e/o pesce) – uscita (formaggio, dessert, frutta). A partire dal Novecento, progressivamente, la carne tornò “accessibile” e rientrò nei menù, ma l’abitudine quotidiana al piatto unico di pasta si era oramai consolidata. Anche se Filippo Tommaso Marinetti, nel manifesto della Cucina Futurista e successivamente nel libro “La Cucina Futurista” del 1931, ne propose l’abolizione dalle tavole degli Italiani, perché essa “è un alimento grasso e pesante che non si mastica ma si ingozza e questo è sinonimo di fiacchezza, pessimismo e neutralismo”.
Non scomparve, ma si affiancò al ritrovato piatto di carne. La struttura del menù si raddoppiò, i protagonisti diventarono 2: IL PRIMO E IL SECONDO PIATTO.
Ma le abitudini degli Italiani stanno ancora cambiando…
Sempre più diffusa è la tendenza a smontare i pasti, principalmente in 2 momenti distinti:
primo o secondo, a pranzo; secondo o primo, a cena.
Sta nascendo, forse, un nuovo modello di pasto basato sul monopiatto?
Carne e Cuccagna
Da tempi lontani, la carne è considerata il cibo delle feste. In diverse culture gastronomiche – oggi come ieri – mangiare molto ed essere grassi è segno dell’essere privilegiati e primo desiderio per le classi meno agiate. Il maiale da secoli è uno dei protagonisti delle tavole e dei mitici paesaggi medievali della Cuccagna dove benessere, abbondanza e il piacere sono a portata di tutti. Un Eden Gastronomico e del dolce far niente con cibi sempre a portata di mano (i campi sono recintati da prosciutti e con pezzi di carne arrosto, le vigne e gli asini si legano con le salsicce).
Il mese è di sei settimane, si celebrano quattro pasque, la quaresima viene solo una volta ogni vent’anni e le altre feste quadruplicate.
Il Paese della Cuccagna ricalca il desiderio di rivincita delle masse affamate di ottenere almeno qualche volta nella vita tutto e tanto cibo. Assimilato nei secoli sempre più al Carnevale – in cui finisce per identificarsi – vi trova il suo principale veicolo di diffusione e con le funzioni di rifondazione del tempo e dei cicli produttivi.
Il Bengodi alla rovescia
In molte parti del mondo si tenta ancora di sopravvivere alla fame. Da noi si paga per non mangiare per dimagrire…
Le statistiche e gli studi ci dicono che consumiamo quantità ingenti di carne: 1 miliardo di suini vengono ogni anno abbattuti per sostenere un sistema di produzione alimentare “sballato” per molti. Nascono e vengono proposte diete, mode e correnti di pensiero su come sia meglio nutrirsi: Crudismo o Vegetarianesimo, Dieta crash o macrobiotica, alcalina o ayurvedica e ancora altre.
Ma come dobbiamo comportarci davanti a questi modelli, molto mediatici, invasivi e spesso disorientanti? Rispondere non è facile, proprio per l’importanza di certe problematiche che investono l’individuo intimamente nelle sue abitudini quotidiane: alimentari, etiche e religiose. La scelta alimentare è quella più importante per l’individuo, ne va della sua sopravvivenza. Oggigiorno è sempre più vitale riflettere, mediare e scegliere con oculatezza ciò che mangiamo. A tal proposito, i nostri padri latini ammonivano: “In medio stat virtus” (La virtù sta nel mezzo); invitandoci a moderazione, equilibrio ed evitare gli eccessi.
Quindi, viva la pasta, viva la carne, viva la Gastronomia.