100% italiano ormai è un leit motiv degli spot pubblicitari e dei “motti” sulle confezioni di prodotti alimentari. Una garanzia di prodotto più buono e/o più sano? O la solita furbata che sfrutta un sentimento collettivo?
E’ in particolare una garanzia quel “carne 100% italiana” strillato a squarciagola da aziende di trasformazione o somministrazione di dimensioni industriali?
Non c’è nulla di sicuro per nessun settore: in Italia non mancano certo i furbetti (per usare un eufemismo). Spesso, però, il prodotto italiano, un po’ per merito della natura, un po’ per una cultura alimentare più diffusa, un po’ per vocazione artigianale è più sicuro e più buono.
Ancora più spesso quel 100% italiano ci dà più tranquillità a confronto delle maggiori provenienze di prodotti importanti, in particolare la Cina o l’est europeo dove riteniamo ci sia un pesante inquinamento o controlli sanitari deficitari rispetto ai nostri.
Sicuramente, per citare qualche esempio, scegliere il 100% italiano se compriamo olio extravergine d’oliva è un’ottima regola: la natura ci agevola e la scritta è regolamentata da controlli veri. O è una scelta obbligata per le carni suine utilizzate per i salumi per una vocazione salumiera unica al mondo che è strettamente legata a lle modalità di allevamento della materia prima.
Ma di questi tempi il “motto” 100% italiana è particolarmente enfatizzato per le carni bovine.
E qui la genialità storica che ci contraddistingue ci aiuta per qualche prodotto di eccellenza, ovvero qualche nostra razza che ha carni con particolari caratteristiche organolettiche che la fanno eccellere in alcuni piatti tipici. Così come la vocazione artigianale ci consente di trovare carni eccellenti da piccoli produttori che ne curano l’alimentazione con competenza e passione.
Ma la natura no, in questo caso non ci aiuta: non abbiamo le immense distese di pascoli pianeggianti di altri paesi necessarie per produzioni di qualità con grandi numeri. Però quel “carne 100% italiana” è strillato a squarciagola da aziende di trasformazione o somministrazione (hamburgherie, catene di ristoranti) di dimensioni industriali.
Francamente ci vengono forti dubbi sul benessere, la salute e la qualità dell’alimentazione di povere bestie di allevamenti intensivi in cui sono ammassate in capannoni e giocoforza gonfiate di antibiotici o altre diavolerie chimiche.
Se poi qualcuno ramazza tutti i bovini malaticci in giro per il Paese, li gonfia di medicine e li macella insieme agli altri per abbattere ulteriormente i costi?