“Rischi nella gestione di funghi e tartufi” è il titolo di un incontro promosso dall’Accademia delle 5T alle 12,00 di lunedì 29 ottobre durante la fiera Piace.eat a Piacenza (https://www.facebook.com/piace.eat/).
Metttiamo l’accento soprattutto sui porcini: noi Italiani siamo dei maniaci di questo gruppo di funghi tanto che il nostro paese costituisce un mercato alimentato da mezzo mondo, compresi territori ancora inquinati dai tempi di Chernobyl (e pure da prima). Ma non è questo il vero problema, bensì l’abuso di porcini che, invece di essere come una volta un pregiato cibo stagionale, sono nei menu tutto l’anno in ristoranti e pizzerie.
Aldilà dell’insulto al palato di tanti clienti che, probabilmente, il vero profumo e sapore dei porcini freschi nostrani non l’hanno manco mai provato (i porcini soffrono molto il frigorifero, soprattutto se prolungato, da cui acquistano sentori che nulla hanno a che vedere con quelli del prodotto cucinato senza conservazione), l’intossicazione da funghi mal conservati è molto più frequente di quella da funghi velenosi: il congelamento, i lunghi trasporti, la conservazione in contenitori non idonei sono alcune delle cause ma è soprattutto l’ignoranza che ne aggrava le conseguenze: ben pochi si rendono conto quanto i tessuti dei funghi siano molto più affini ai tessuti animali che a quelli vegetali tanto da subire processi di decadimento molto pericolosi.
Ancora più importante è la sempre più diffusa abitudine, sconosciuta nella gastronomia tradizionale, di consumare porcini in insalata. Questi funghi, infatti, sono assai poco digeribili crudi e la percentuale di intolleranze è molto elevata.
E’ pur vero che l’abuso di porcini crudi non porta, se non in casi rarissimi, in ospedale, ma è altrettanto vero che un cliente che esce dal ristorante con mal di capo e acidità di stomaco, poi passa una nottata in bianco, pensa il peggio e in quel ristorante non ci torna. E l’oste non saprà mai il perché.
Seconde per numero di casi sono le intossicazioni da chiodini mal cotti: ormai quasi tutti (ma non proprio tutti) sanno che i chiodini devono essere prebolliti buttando via l’acqua. Ma sono ancora troppi coloro che sono convinti che questa operazione sia sufficiente e, per esempio, dopo una breve scottatura li mettono sulla pizza cuocendoli in forno solo pochi minuti. Se i chiodini sono cresciuti su conifere o piante ricche di tannini (querce, castagni ecc) le conseguenze potrebbero anche essere gravi.
Poi ci sono i casi di: intolleranze individuali ai funghi alternativi; il pericolo grave delle spugnole mal cotte, purtroppo incentivato dall’incosciente voglia di stupire di certi chef sedicenti “autori”; ancora l’abuso del crudo che coinvolge anche quei funghi che sono velenosi se non ben cotti; la persistente convinzione che il nebbione (Clitocybe nebularis) sia commestibile; l’imprudenza di chi compra da raccoglitori non sempre esperti; gli errori nella tecnica di conservazione dei funghi sott’olio e conservati; i funghi del sud-est asiatico in salamoia e sott’olio fatti passare per roba nostra e giunti in condizioni igieniche allucinanti; l’inquinamento da metalli pesanti…
E, passando ai tartufi, è molto peggiore di quanto si pensi la tossicità degli aromi sintetici con cui sono aromatizzate le creme, gli oli, i preparati… Senza contare che l’odore dell’aroma sintetico è molto più invasivo di quello dei tartufi freschi e provoca addirittura mal di testa a un’elevata percentuale di persone: ne basta una che non lo sopporta per allontanare dal ristorante tutto un gruppo.
Tutte cose che vengono ampiamente illustrate, proponendo anche soluzioni e idee alternative, nell’incontro a Piace.eat del 29 ottobre.
I porcini crudi sono poco digeribili e molte persone proprio non li tollerano: bisogna servire solo piccole porzioni.
I porcini congelati, oltre a essere di pessima qualità, sono pericolosi dal punto igienico sanitario e, spesso, non vengono neppure trattati in modo corretto.
I chiodini sono commestibili solo se giovani e non con il cappello del tutto aperto, nel qual caso non sono digeribili o peggio.
La Clitocybe nebularis è ancora utilizzata in alcuni territori con il nome di nebbione, pevein, ordinale grigio, ordinario… Ormai è dimostrato che è fortemente dannosa per il fegato pur se i sintomi compaiono spesso anche dopo anni per accumulo. A molti individui comunque provoca disturbi anche immediati con forti emicranie e problemi gastro-intestinali.