L’albicocca di Valleggia, piccolotta, con le “guance” rosse come quelle delle genti di campagna, dolce e profumata come le fanciulle delle canzoni del genovese De André, rappresenta, tra i preziosi gioielli dell’agricoltura ligure, il gusto delle vacanze.
La costa savonese sarebbe, senza l’invasione del cemento e i parcheggi intasati, uno dei più bei mari del mondo. I Liguri di queste parti sono vittime costanti degli sketch televisivi per l’esosità dei gestori dei bagni e degli albergatori. Tutto vero? Nel nome delle palanche qui ne hanno combinate di tutti i colori ma è ancora vero? Ed è giusto generalizzare? In ogni caso sarebbe il rovescio di una medaglia che ha, invece, un’altra faccia che continua e continuerà ad affascinare i vacanzieri, soprattutto i Milanesi. Qui la gente non ha perso le proprie radici, vi rimane abbarbicata e non molla. Soprattutto non mollano i pescatori e i contadini, né mollano gli osti, quella loro convinzione forse sparagnina ma tanto vera che la terra e il mare sono, alla fin fine la fonte di tutto, palanche comprese. È vero che nelle pescherie ci sono branzini d’allevamento e scampi decongelati, ma ci sono pure quei pesciotti e quei polpotti che ai mercati delle città non arrivano e che, persino in Sicilia, abbiamo visto ributtare in mare. I ristoranti degli alberghi non li fanno, ma in ogni borgo c’è almeno un oste che li lavora a meraviglia proponendo menu di pesce meno “globalizzati”. Perché sono tirchi? Nossignori, perché li sanno ancora cucinare! E, fatto straordinario, i fruttivendoli dei carrugi, negozi affascinanti per i loro profumi e i loro colori, continuano a proporre le verdure e la frutta dei contadini delle vallette che stanno, in linea d’aria, a poche centinaia di metri dai conglomerati di cemento che soffocano queste antiche e vivacissime viuzze dei centri storici. Sono verdure e frutti dal sapore speciale, forse perché la natura deve ripagare la fatica di chi ha strappato e continua a strappare un po’ di spazio fertile con terrazze e muretti a secco su pendii dove macchine e trattori non arrivano. Tra questi frutti ci sono le albicocche di Valleggia, buonissime per il palato e per la pelle di chi abusa col solleone.
Non solo pochi vecchierelli
Parlottando con i pescatori di Noli o con i contadini delle Manie, osserviamo la loro pelle raggrinzita e un’età che si vede tutta, forse per colpa del sole, così ci vien da pensare che quelle acciughe pressate nei cilindri di vetro e quelle albicocche rubiconde e dolcissime sono roba che noi possiamo ancora gustare ma i nostri figli no. Sta di fatto che questi pensieri li esprimevano mia nonna e poi mio padre fin dai promettenti anni Cinquanta, eppure ai nostri nipotini, questa estate, faremo fare spanciate di albicocche di Valleggia. Forse quei vecchierelli sono quelli che hanno il tempo di chiacchierare sul lungomare, magari, però, dopo ore di lavoro a sgarbugliare le reti, o di stare sulla soglia di casa a selezionare le patate, magari, però, dopo averle zappate. Ma evidentemente dietro di loro c’è qualcun altro: una certa continuità generazionale resta, altrimenti non continueremmo a trovare certe delizie che, guarda un po’, qualche volta costano pure meno delle parenti, molto lontane quanto a carattere e dna, che arrivano dai grandi mercati.
Quando le coglievamo dall’albero
Non sono trascorsi tanti lustri da quando chi sceglieva Spotorno, Finale Ligure, Noli, ma pure altri centri balneari ponentini, attendeva il fresco del tramonto o, al contrario, partiva all’alba per fare una passeggiata appena dietro i centri abitati immergendosi in vallette o pendii verdissimi. Da Spotorno o Celle Ligure bastano le gambe, da altri centri forse l’auto è indispensabile. La meta erano proprio gli alberi di albicocche, per coglierle direttamente dagli alberi già completamente mature. Col permesso dei contadini, naturalmente, che qualche volta lo davano volentieri, in cambio di palanche ovviamente. Altre volte dicevano di no perché “il raccolto era venduto in pianta” a fantomatiche ditte, che si assumevano i rischi dell’eventuale annata cattiva o della grandinata, ma poi volevano tutto… Verità? Balla? Non lo sappiamo. Oggi è sempre più difficile trovarle mature mature ancora sulle piante. Il disciplinare prospettato per un’eventuale (ma non ci sono tracce sul sito del Ministero né di riconoscimento né di esame alla UE) Indicazione Geografica Protetta dell’Unione Europea è piuttosto semplice, non si spreca in descrizioni tecniche citando caratteristiche qualitative minime, a cominciare dal grado zuccherino. In fondo, si sa, questo non dipende solo dalla cultivar ma pure dall’andamento climatico e dal grado di maturazione. Si preoccupa soprattutto di definire con chiarezza i limiti territoriali della denominazione e il marchio. Secondo questo ipotetico disciplinare questa cultivar potrebbe prodursi, portando legittimamente il nome di Albicocca di Valleggia, nella zona del litorale savonese, tra Varazze e Albenga e, più esattamente, nel territorio dei comuni di Loano, Pietra Ligure, Borgio Verezzi, Giustenice, Tovo, Magliolo, Finale Ligure, Calice Ligure, Rialto, Orco Feglino, Vezzi Portio, Noli, Spotorno, Bergeggi, Vado Ligure, Quiliano, Savona, Albisola Marina, Albissola Superiore, Stella, Celle Ligure e Varazze. Valleggia, del resto, è una località del comune di Quiliano che sta al centro di quest’area, la quale comprende uno dei luoghi naturalisticamente più interessanti dell’intera Liguria, l’altopiano delle Manie tra Spotorno e Finale.
Nota dal primo Novecento
L’albicocca di Valleggia, Valleggin in dialetto, è una cultivar locale, selezionata nei primi anni del 1900, nasce da una pianta vigorosa, longeva e rustica, con produzione costante, anche per la caratteristica della fioritura tardiva e graduale. Ha una buona adattabilità all’ambiente. L’albicocco che produce l’Albicocca di Valleggia può essere innestato su franco (Prunus armeniaca) oppure su pesco (Prunus persica) o su susino mirabolano (Prunus cerasifera o P. myrobalana). Il frutto, dalla polpa soda, molto dolce e aromatica, ha un epicarpo di colore arancio, sottile e liscio, con puntinature rosso mattone. Presenta una buona resistenza ai trasporti e alle manipolazioni nonostante la buccia sottile che la rende speciale per fare marmellate ma poco adatta a essere sciroppata.