Il Carciofo spinoso di Sardegna costituisce una varietà dalle origini storiche molto antiche e radicate nel contesto regionale, anche se non si hanno elementi precisi sulla sua introduzione e diffusione nell’Isola. Già nel secolo scorso, comunque, questa coltura, grazie al gradevole gusto dell’ortaggio e alle sue doti terapeutiche, era discretamente diffusa, anche se la coltivazione era limitata agli orti familiari e quindi prevalentemente destinata all’autoconsumo.
Secondo i dati del catasto agrario, già nel 1929 la coltura del carciofo in Sardegna aveva carattere estensivo e si sviluppava su 1231 ettari, che dieci anni più tardi risultarono raddoppiati. La sua diffusione è progressivamente aumentata e oggi il carciofo sardo è il più diffuso sui grandi mercati, almeno al Nord, ed è ritenuto giustamente particolarmente pregiato.
Nasce da una pianta pluriennale di taglia media con altezza fino all’inserzione del capolino, ovvero la parte che costituisce l’ortaggio, dai 45 ai 70 cm.
Il capolino è conico più o meno allungato, mediamente compatto, con altezza compresa tra i 10,5 e i 14 cm e diametro compreso tra 6 e 9,5 cm, le brattee (quelle che chiamiamo fogie) esterne sono di colore verde con ampie sfumature violetto-brunastre, grandi, allungate ad apice appuntito terminante con una spina gialla molto rigida; le brattee interne sono di colore giallo paglierino con venature violette.
In cucina
Il carciofo è più digeribile crudo che cotto e il suo succo a volte viene usato in qualche caseificio per far cagliare il latte e ottenere il formaggio. Sarebbe inoltre meglio consumarlo con il gambo perché buona parte delle sostanze che stimolano la digestione sono contenute in esso. In frigo possiamo conservarli anche per una settimana senza pulirli e nel freezer, puliti e scottati, per 3 mesi; mentre se immergiamo i gambi in un vaso con l’acqua si manterranno per 2 giorni.
Per prima cosa tagliamo il gambo e “sbucciamolo”, ovvero elminiamo la parte esterna fibrosa per poterne mangiare la parte carnosa e croccante interna. Poi eliminiamo le foglie esterne più dure perché sono cariche di sostanze astringenti e legnose ma vale la pena sgranocchiarne sul momento, prima di buttarle, la base che, a parte proprio le primissime, è carnosa e gradevolissima. Tagliamo quindi le punte spinose fino al punto in cui, al tatto, l’insieme risulta cedevole.
A questo punto il carciofo, intero o sezionato per il lungo a metà, va immerso, per evitare che annerisca, in acqua acidulata con succo di limone lasciandovelo fino al momento di cucinarlo o affettarlo per un’insalata cruda.
I carciofi più giovani e teneri, senza le setole del pappo, sono ottimi crudi, in pinzimonio o affettati sottilmente per le insalate; quelli più vecchi con le setole, che dobbiamo comunque eliminare, vanno mangiati cotti (bolliti, brasati, in umido, fritti con la pastella…) oppure usati in torte salate, risotti e sughi per pasta.
Una manna per la salute
Il carciofo stimola infatti il fegato, seda la tosse, contribuisce a depurare il sangue, fortifica il cuore. Inoltre contiene cinarina, una sostanza amara di cui beneficiano la secrezione biliare, la diuresi renale e le funzioni intestinali.
È ricco di sali minerali come potassio, calcio, ferro e fosforo che sono utilissimi al nostro organismo perché regolano il flusso dei liquidi corporei, aiutano a combattere la debolezza, l’insonnia e rinforzano il tono muscolare. Contiene inoltre molte fibre sia solubili (favoriscono il senso di sazietà e modulano l’assorbimento dei grassi), che insolubili (hanno un’azione anti-stipsi) e cellulosa che aumenta le scorie e facilita le funzioni dell’intestino; per questa presenza di fibre il carciofo è vietato ai più piccoli perché può essere irritante per il loro intestino. Apporta poche vitamine A e C, soprattutto dopo la cottura, ma è fonte di acido folico che è una vitamina del gruppo B. Ha un buon valore alimentare, basso apporto calorico e migliora il metabolismo del colesterolo. Attenzione però alle mamme che allattano! Proprio per il contenuto dell’amara cinarina non dovrebbero abusarne perché passa nel latte materno ed è sgradita ai poppanti.
Ma cos’è il carciofo?
Il carciofo appartiene alla specie Cynara cardunculus subspecie scolymus della famiglia delle Asteraceae e verrebbe da dire che è il bocciolo di un fiore ma in realtà è un’infiorescenza immatura, ovvero il bocciolo di un insieme di fiori. Infatti se venisse lasciato sul campo ne verrebbe fuori uno stupendo capolino (il tipo di infiorescenza che contraddistingue cardi o margherite) blu, i cui singoli fiori sono un mazzo fitto di cilindretti che, chiamati flosculi, nel carciofo commestibile formano ancora un’unica massa soda e compongono la parte alta del cuore di carciofo, la parte tenera e carnosa chiamata ricettacolo e in gran parte costituita dal fusto che si espande.
Sopra al cuore tenero c’è il “pappo”, un insieme di setole bianche sgradevoli e amare che, abbondanti in carciofi spinosi troppo maturi, vanno rigorosamente eliminate. Quelle che chiamiamo foglie in realtà sono le brattee, ovvero elementi protettivi dell’infiorescenza in attesa che
si apra e sia in grado di svolgere la sua funzione riproduttiva.
La pianta ha origine da un tipo selvatico di cui tuttora in qualche area della Calabria si colgono le infiorescenze, molto più piccole e spinose del discendente coltivato, per ottenerne laboriosissimi ma splendidi sottoli.
Il carciofo è conosciuto in tutta l’area mediterranea da epoca preromana, coltivato nel bacino mediterraneo fin da tempi antichi, forse già dagli Etruschi, ed era già noto e apprezzato dagli Egizi, pur se probabilmente si trattava della specie “madre”, Cynara cardunculus. Una maggiore diffusione è però opera dagli Arabi intorno al 1200, infatti il suo nome deriva dall’arabo harsufa, seppure Notizie certe sulla sua coltivazione in Italia risalgono al 1400, quando dalla Campania la coltura del carciofo si diffuse prima in Toscana – Caterina de’ Medici ne fu una grande consumatrice – e poi in altre regioni.
Le condizioni più favorevoli alla sua coltura sono un clima mite, una buona disponibilità idrica ma senza ristagni e dei terreni sostanzialmente sciolti.
Il carciofo viene raccolto da novembre a maggio, in inverno si trova la qualità spinosa, in primavera quella senza spine. L’Italia è il grande produttore mondiale di carciofi e vengono coltivati soprattutto nell’Italia centro-meridionale. Ne esistono moltissime varietà, si contano nel mondo una novantina di tipi, ma come abbiamo detto in precedenza, si possono raggruppare solo in due gruppi fondamentali: con le spine o senza.